Cara Berenice,
l’acqua picchietta sulle piastrelle del giardino, gorgoglia nei termosifoni di questo strano, freddo e inclemente marzo romano. Sibila e striscia nella doccia, che ha deciso di cominciare a perdere acqua e ricordarmi l’impossibilità di chiamare un idraulico fino alla fine della quarantena. Scroscia sull’asfalto delle strade, irrorate da operatori in tuta bianca e mascherina. Scorre sulle mani, lavate e rilavate in ottemperanza alle prescrizioni delle Autorità sanitarie.
I giornali ripetono, ciclicamente, che le acque della Laguna di Venezia, liberate dal traffico, sono tornate limpide e vi guizzano i delfini. La verità è che la Laguna ha una profondità media di circa un metro, per cui veramente solo l’immobilità assoluta imposta da una pandemia può renderla chiara e trasparente.
Altrettanto ciclicamente, gli algoritmi delle reti sociali mi propongono un articolo sullo spreco d’acqua in Italia. Secondo il Fondo Ambiente Italiano, la dispersione nel settore civile è superiore al 45 per cento. Se ne parlò molto nel 2011, in occasione di un referendum contro la privatizzazione dei servizi idrici… o, almeno, così presentato dai promotori; in realtà, come spesso avviene, le norme giuridiche oggetto della consultazione avevano profili più sfumati e complessi.
Secondo molti, il problema dell’acqua si farà sempre più pressante nel futuro, tanto che l’ONU ha costituito UN-Water, un “meccanismo di coordinamento interagenzia”: locuzione che fa, forse, più paura del problema stesso.
Parlami d’acqua, mia Berenice.
Stan
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