Mia cara Berenice,
la prima lettera che ti scrissi, se non ricordo male, trattava dell’acqua, e ti fu molto gradita.
Ieri sera ho bevuto un aperitivo in un locale molto à la page di Re di Roma: acqua colorata. Il basso gazebo che proteggeva i tavoli del dehors, chiuso su tre lati, non lasciava passare un rivolo d’aria. “È una sauna qui sotto,” si lamentò F., affrettandosi a chiedere il conto: acqua.
Qualche tempo dopo, in tram, ho sentito una goccia tiepida e melmosa cadermi in grembo. Non me ne sono stupito troppo. Probabilmente l’autista aveva fatto un primo, sfortunato tentativo di accendere l’aria condizionata. Questo spiegava anche lo stantuffo assordante che mi fustigava le orecchie da quando eravamo partiti. Acqua. In senso letterale e nella ricerca di efficienza del Comune, fresco di nuovo Sindaco, investito dal Governo di poteri straordinari. Ora che ci penso, nei giardini al centro della rotonda di Re di Roma, un chiusino ostruito faceva debordare l’acqua di un nasone, un bambino ci zuppava gioiosamente le scarpe. Un’altra fontanella nelle stesse condizioni, davanti casa mia, lambisce le carrozzerie delle auto. Un’altra ancora, a Piazza Trilussa, getta il suo manto sui gradini di pietra smussata, fino al largo dove si esibiscono artisti di strada e musicisti. Acqua.
Tornando al tram o in tram, notai in quel momento che i finestrini erano rigati. In quel tardo pomeriggio soffocante, non immaginai potesse piovere, pensai fossero sempre le viscere del verme metallico che spurgavano. Di lì a poco, tuttavia, distinsi i binari, la carreggiata e i marciapiedi zuppi. Acqua.
Stan