Mia cara Berenice,
in uno degli incipit che ho valutato come giurato del premio letterario, un misterioso pozzo senza fondo si spalanca in Europa orientale, una sorta di buco nero che inghiotte tutte le squadre di esplorazione inviate all’interno dai Governi.
Dovevo valutare, tra le altre cose, l’originalità del testo, ma mi era difficile trovare avveniristico un buco nero, quando ne avevo uno alle mie spalle, nel mio soggiorno: il mio divano letto che inghiotte cellulari, telecomandi, orologi e ogni sorta di sozzura, finché la signora della pulizie, colta da raptus, lo sventra come un pesce, ne forza le valve e strappa via le perle dalla carne dell’ostrica.
Normalmente, il mostro non riesce ad avermi tra le sue fauci, sono ramingo come mio padre… ma oggi sì. Il cielo era grigio e piovigginava. La mattina ero stato trattenuto a lungo in banca, dove le giovani funzionarie cercavano di convincermi che sarei un cliente VIP. Ho pranzato tardissimo, più voracemente del solito e digerito male. Il concorso di queste circostanze ha reso il mio lavoro da remoto decisamente poco agile e molto statico.
Ora sono uscito a fare un po’ di spesa e mi sono gettato in una passeggiata al trotto lungo i Colli Portuensi, come un pargolo sullo slittino alla prima neve. Ti scrivo queste righe liberato e senza più costipazione, dalla panchina di una piazza, mentre le auto e i pedoni mi roteano intorno.
Un sollevato saluto.
Stan