Mia cara Berenice,
scusa il mio silenzio, ma sono letteralmente sepolto di lavoro al Ministero, di traduzioni da consegnare e altre incombenze.
Così, solo stasera, mentre in TV scorrono le immagini di un vecchio film francese sulla mala di Marsiglia, posso metterti a parte di un importante evento capitatomi qualche giorno, in prossimità di Largo Argentina.
Attirato da alcune composizioni nella vetrinetta di una gelateria, ne chiesi una da asporto. Notando che il bicchierino custode dei preziosi strati di crema era di vetro, chiesi al gelataio se fosse a rendere.
“Me lo chiedono in molti,” sorrise lui. “Io spiego che è come la bottiglia di vetro della birra: non serve restituirla”.
Mentre passeggiavo lungo le rovine romane e affondavo il cucchiaino nel cacao, riflettei sulla straordinaria, disarmante nettezza di quella esposizione. Nessuno pensa di dover restituire la bottiglia di birra. Perché io – e con me l’avventore medio – mi stupivo tanto e ostinatamente della possibilità di ritenere un bicchierino tanto più piccolo? Perché mi sentivo addirittura così fortunato da essere tentato di riporre il bicchierino in borsa, anziché buttarlo, per poi lavarlo e custodirlo gelosamente, anche se non ne avevo bisogno e rarissimamente lo avrei usato?
Capita, ogni tanto, di imbattersi nella vera saggezza popolare, ben diversa da quella vantata sulle reti sociali dalle “legioni di imbecilli” deplorate da Umberto Eco.
Quando frequentavo l’Università a Treviso, frequentavo abitualmente un certo localino a un tiro di sasso da Piazza dei Signori. Un giorno, mentre attendevo al bancone il mio turno di essere servito, entrò un ragazzo di colore. Senza proferir verbo, ma con uno scatto fulmineo, l’oste accennò ad abbandonare la sua postazione per farglisi sotto. All’identico modo, il ragazzo lasciò immediatamente il locale. Senza alcuna fretta o aggressività, l’oste lo seguì fin sulla porta.
“Ricordati,” proclamò con voce calma e stentorea, le braccia villose incrociate sul grembiulone, “che con te, e solo con te, sono razzista”.
In un’altra occasione, ero con mio padre in casa di un carissimo amico. Eravamo nel cortile e la brace scoppiettava sotto la griglia; bistecche, costicine e salsicce turgide attendevano di immolarsi nelle pirofile metalliche, unte di olio e vino e adorne di rosmarino.
Il padrone di casa commentava la condotta di quegli uomini, anche sposati con prole, che si vantano rumorosamente delle loro avventure amatorie. Riassunse il suo pensiero in poche parole: “Solo i cani sventolano i coglioni”.
Un estasiato saluto.
Stan