Di vacche grasse e vacche magre

Mia cara Berenice,

“al termine di due anni, il faraone sognò di trovarsi presso il Nilo. Ed ecco salirono dal Nilo sette vacche, belle di aspetto e grasse e si misero a pascolare tra i giunchi. Ed ecco, dopo quelle, sette altre vacche salirono dal Nilo, brutte di aspetto e magre, e si fermarono accanto alle prime vacche sulla riva del Nilo. Ma le vacche brutte di aspetto e magre divorarono le sette vacche belle di aspetto e grasse. E il faraone si svegliò”.

Avendo terminato il mio assistentato universitario nel 2010, ricordo bene gli anni dell’austerità. La Legge Gelmini e l’abolizione del ruolo dei ricercatori, la Legge Fornero sulle pensioni, la Legge Delrio e l’ennesimo, tombale blocco delle assunzioni nella Pubblica Amministrazione.

Abituato alle gocce, posso stimare con certosina accuratezza l’esatta portata idraulica della spesa alluvionale odierna, ingrossata dal nuovo ciclo politico e fatta definitivamente esplodere dalla pandemia. Il reddito di cittadinanza, i ristori, la mutualizzazione del debito, lo sblocco delle assunzioni: a decine di migliaia, abolite le prove preselettive, abolite le prove orali.

Un cambio di rotta sacrosanto, ma preoccupante in questo frenetico oscillare del pendolo, potenzialmente prodromico a una nuova stagione di vacche magre.

La Federal Reserve e la Banca Centrale Europea annunciano la graduale riduzione degli stimoli, sui giornali si ricomincia a parlare di inflazione e il Governo, improvvisamente, sembra incontrare difficoltà insormontabili nel finanziare la quarantena dei dipendenti privati colpiti o sfiorati dal virus. Anche in Cina, seppure in un contesto completamente diverso, il Governo ha lanciato una repentina campagna contro l’impresa privata, il settore tecnologico e il divismo. Aggiungiamo la crisi dei semiconduttori, quella dei porti, l’ostinato protrarsi della pandemia, la crisi afghana.

Solo suggestioni? Può darsi.

Per usare una locuzione diventata ormai popolare in Italia, tachipirina e vigile attesa.

Stan

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