Mia cara Berenice,
non me ne volere, ma non vedo particolari elementi di originalità nell’iniziativa della tua amica von Abensberg und Traun che ha dipinto pseudo-abusivamente – ma pur sempre sotto la protezione del Prorettore Strache, schiavo dei vostri begli occhi – sulla Facoltà un murale in cui si accosta Kabul a Saigon. Non credo nemmeno che l’Ambasciata degli Stati Uniti a Vienna se ne vorrà, ammesso che venga mai a saperlo.
Lasciando da parte quanto il paragone sia inflazionato… Kabul come Saigon? Magari!
In Vietnam, gli Stati Uniti si chiamarono fuori con gli Accordi di Parigi del 1973. Saigon cadde solo nel 1975, dopo che l’esercito sudvietnamita – pur piagato da corruzione e fazionalismo quanto quello afghano – si era battuto, tutto sommato, onorevolmente.
Il Vietnam del Sud combatteva contro uno Stato, il Vietnam del Nord, dotato di un esercito regolare e sostenuto, seppure con alcune ambiguità, dalle Potenze socialiste: se ne lamentò, nell’ultimo drammatico discorso con cui annunciò alla Nazionale le sue dimissioni, il Presidente sudvietnamita Thieu. I talebani, invece, hanno dietro di sé solo il Pakistan al quale, per qualche misterioso motivo, gli Stati Uniti non si decidono a dare una ripassata. In Pakistan si trovava Osama bin Laden quando venne eliminato da un blitz del quale – non a caso – non fu dato alcun preavviso a Islamabad.
Quando cadde Saigon, fu fatto comunque un grosso sforzo internazionale per portare in salvo più sudvietnamiti possibile: l’Italia inviò nel Golfo del Siam, a tempo di record, mezza Marina Militare. Si mosse con grande energia anche la Santa Sede, poiché il Vietnam del Sud, ex colonia francese, era fortemente filocattolico. Ora, i partiti di destra italiani mettono già le mani avanti contro l’eventualità di accogliere profughi.
Al Vietnam del Sud fu garantito – anche se poco attendibilmente – supporto aereo e, comunque, fu lasciata in eredità una solida aviazione. In Afghanistan, il Governo non era nemmeno in grado di assicurare i rifornimenti e la logistica aerea – parole dell’ex Direttore della CIA, generale David Petraeus.
In Vietnam si fecero errori di alta politica e strategia, dettati dall’ideologia o dalla dottrina militare. Non si costrinse il Governo sudvietnamita a varare una vera riforma agraria che redistribuisse i latifondi anche ecclesiastici, consegnando così le campagne al Viet Minh. Si applicarono metodi da guerra convenzionale contro una guerriglia combattuta nella giungla. Ci si arrese, infine, a un fronte interno incendiato dalla rivoluzione ideologica degli anni ’60. In Afghanistan, si è data un’impressione di bassa sciatteria e improvvisazione.
Infine, se Kabul fosse Saigon, non sarebbe poi così grave. La sconfitta in Vietnam non impedì che l’Unione Sovietica finisse invischiata in un pantano simile in Afghanistan pochi anni dopo, né agli Stati Uniti di vincere la Guerra Fredda. Essa forgiò in Occidente un nuovo contratto sociale che sottrasse ai Governi il potere di combattere guerre implicanti grosse perdite tra i cittadini, spingendoli così a creare quelle Forze Armate altamente professionali, tecnologiche e organizzate che consentirono la rapida e incruenta vittoria nella Guerra del Golfo.
Quali saranno invece le implicazioni della caduta di Kabul, non lo sappiamo ancora. La mia previsione è che sarà una tappa nel percorso di ridimensionamento dell’Occidente rispetto all’Oriente, un Oriente più cinese che islamico.
Vedremo.
Un’allargata di braccia.
Stan