Mia cara Berenice,
temo che incontrerai difficoltà insormontabili nel convertirmi all’amore per la campagna.
Non ci sono riusciti mio padre, né una pandemia mondiale.
Tale sentimento bucolico, invero, affligge soprattutto chi è nato e cresciuto in città, mentre io ho passato una meditativa infanzia leopardiana in un paesino di quattrocento anime.
Ecologia, tu dici. Ebbene, in campagna occorre un veicolo anche per comprare il pane. Perfino in una città sgangherata come Roma, io vivo e prospero da anni senza un’auto, un motorino o una bicicletta. Sui monopattini nemmeno mi soffermo, conosci bene i miei sentimenti a riguardo; basti aggiungere che, in Belgio, li chiamano “trottinette”.
Ma perché argomentare, quando posso semplicemente descriverti la mia giornata di oggi? Sono andato in tram fino a Piazza Venezia, sono saltato su un minibus “circolare” per Piazza del Popolo e, da lì, sono salito con M. a Villa Borghese.
Dopo averla riaccompagnata a Flaminio, ho ridisceso a piedi via del Corso, facendo tappa da Venchi per un gelato e a un Carrefour.
Vagando oziosamente per i vicoletti, mi sono imbattuto in una chiesa dai preziosi affreschi e una libreria storica adiacente il Collegio Romano.
Tutto ciò mi richiama alla mente i miei itinerari veneziani.
Quando ancora lavoravo al Governatorato, per la pausa pranzo avevo due itinerari gastronomici alternativi, l’all you can eat e il giro bacari.
Il primo faceva perno su un riposto ristorante, dove, a pranzo, per meno di dieci euro potevi attingere a un buffet comprendente due o tre antipasti, due o tre primi, due o tre secondi, due o tre dolci, frutta e caffè. Il secondo si snodava in varie tappe: paninetti imbottiti; cicchetti fritti; macedonia, dolce o caffè di torrefazione.
Se mi sentivo ispirato, potevo allungare fino a Piazza San Marco o infilarmi in qualche padiglione degli Istituti di Cultura stranieri o della Biennale.
Tu imita pure Maria Antonietta al Petit Trianon.
Un urbano saluto, in entrambi i sensi.
Stan