Mia cara Berenice,
in una scena degna della Marvel, gli americani si sono raccolti davanti alla TV per vedere un caccia F-22 abbattere un pallone aerostatico cinese al largo della Costa Orientale. Per Pechino, raccoglieva dati meteorologici ed era stato accidentalmente spinto dal vento in direzione degli Stati Uniti; per Washington, era un pallone spia.
Palloni da osservazione… non se ne vedevano dalla Grande Guerra, quando i cieli erano un intreccio di biplani variopinti pilotati da aristocratici, un vero circo volante da fanciulleschi applausi, a paragone dell’inferno delle trincee.
Anche per questo, forse, mongolfiere e dirigibili ancora ci affascinano, hanno quel delicato sapore retrò e steampunk a cui dobbiamo la loro apparizione in film come “Indiana Jones e l’ultima crociata” (USA, 1989) e “Sucker Punch” (USA, 2011), nonché nella saga videoludica di “Red Alert”, in cui l’Armata Rossa schiera il possente dirigibile corazzato Kirov.
Anche per questo, forse, trovo rassicurante il raffronto fra questo incidente e quello dell’U-2 abbattuto sui cieli sovietici nel 1960: è difficile immaginare una guerra nucleare scatenata da un pallone aerostatico. Non a caso, la celebre canzone “99 Luftballons” dei Nena, per deridere la paranoia della burocrazia militare della Guerra Fredda, mostra appunto dei caccia scagliati nel cielo per abbattere dei palloncini.
È come se, in qualche modo, il primo sconfinamento aereo della Cina riflettesse la storia di un Paese privo – a differenza della Russia – di una storia di espansionismo. Come le altre Potenze asiatiche, la Cina ha piuttosto la tendenza a ripiegarsi su se stessa e isolarsi, in nome di una presunta superiorità culturale. Pechino è sempre stata molto attiva nel ripristinare i suoi confini storici, ma lo ha sempre fatto con mezzi pacifici, rifiutando perfino la prima offerta di restituzione di Macao da parte del Portogallo, ritenuta prematura. Non interferisce in modo particolare negli affari di antichi Stati vassalli dell’Impero, come il Vietnam, le Coree o il Giappone. Su Taiwan, tutto sommato, non ha avuto politiche estremiste, sparando più carte bollate che proiettili. L’unica eccezione è la brutale annessione del Tibet, ma si tratta, appunto, di un’eccezione, connotata da moltissime circostanze peculiari. Il Tibet stesso aveva mantenuto una grande ambiguità sulla sua nominale soggezione alla sovranità cinese. Era una teocrazia medievale – per quanto romantica -, arretrata e assolutamente incapace di difendersi. Soprattutto, quella non era la vera Cina, ma la Cina maoista, una parantesi in cui si tentò di estirpare, con violenza disperata e inutile, la millenaria cultura confuciana del Paese.
Insomma, tutto sommato si può sorridere immaginando le più sofisticate navi della Marina degli Stati Uniti scandagliare l’Atlantico, alla ricerca spasmodica di frammenti del pallone disintegrato da spedire nei laboratori militari e del Ministero della Sicurezza Interna.
Un clownesco saluto.
Stan