Il cane, lo spasimante e l’ombrello

Mia cara Berenice,

ieri, sul cocuzzolo del Gianicolo, seduto a una panchina, leggevo l’ultimo volume della trilogia di Scurati, graditissimo regalo di compleanno, in attesa di calare a Trastevere dove avevo acquistato il biglietto per un film in francese. Il sole, basso e dorato sul grande arco che conduce al parco, faceva pregustare il tramonto.

Mi è passato davanti un cane dalla muscolatura possente e guizzante, di quelli che immagini ritti sulle zampe posteriori a incassare il pizzo o le rate degli usurai, come in quel racconto che ti inviai qualche settimana fa.

Seguendolo pigramente con lo sguardo, ho visto arrivare nella direzione opposta due donne.

“Un regista che devo vedere stasera per un progetto…”

“Un vecchio spasimante?”

“No, ma che dici?!”

“Un vecchio spasimante”.

“Sì…”

Mentre si allontanavano, il mio sguardo è caduto su una panchina attigua dove, qualche giorno prima, avevo dimenticato il mio ombrello viola. Non era più lì, ovviamente. Poco male, qualcun altro lo aveva trovato, strumento della Provvidenza, e ci si era protetto dalla pioggia, mentre io, alla fin fine, ero arrivato a casa all’asciutto; e poi, gli ombrelli sono fatti per essere persi, c’è addirittura un racconto di Achille Campanile sul tema.

Un riposato saluto.

Stan

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