Mia cara Berenice,
un venerdì sera ante- o post-covid, una ragazza si trucca accuratamente, indossa un miniabito e un paio di scarpe con i tacchi a spillo.
Si reca da sola in un locale, si siede al bancone e ordina un superalcolico.
Viene avvicinata da un ragazzo che le offre un altro giro, ne fanno un terzo e quattro chiacchiere.
A fine serata lei è piuttosto brilla e lui, che invece ha bevuto acqua tonica, si offre di accompagnarla a casa.
Scendendo dal vertiginoso SUV dello zerbinotto, lei barcolla. Abita al quarto piano di un condominio senza ascensore, perciò accetta che lui la sostenga fino all’uscio.
Apre faticosamente la porta di casa e fa per salutarlo, ma lui entra, si sbatte l’anta alle spalle e sbatte lei al muro.
Lei non protesta, ma, quando lui chiede della camera da letto, scuote la testa e mormora un no.
Per tutta risposta, lui la trascina per il braccio verso la zona notte, individua la stanza che gli interessa, la getta fra le lenzuola e le si avventa sopra.
Lei urla con tutto il fiato che ha in gola, lui tenta di coprirle la bocca con una mano, ma lei gliela morde. Urla ancora.
Le pareti del vecchio condominio sono di carta velina. Il collerico vicino salta giù dal letto e, ancora in canotta e mutande, attraversa il pianerottolo e bussa energicamente alla porta, per poi attaccarsi al campanello.
Lui bestemmia, si ritira su la zip dei jeans e riguadagna l’uscio.
La ragazza, ancora tremante, corre a chiudere la porta a doppia mandata. Si sorbisce gli insulti dei vicini, gli sguardi in tralice dei condomini e pure una ramanzina telefonica dalla madre, il giorno dopo.
Eppure, non se l’è cercata.
Un funzionario ministeriale torna a casa dopo una giornata di lavoro in presenza a cui non era più abituato.
Attraversa a piedi il Gianicolo, Villa Pamphili e Monteverde Nuovo.
Dopo cena, decide di guardare un film su John Keats, dopotutto la protagonista femminile è Abbie Cornish, che ricorda intenta a sparacchiare, in abiti succinti, in “Sucker Punch” (USA-Canada, 2011).
Trova la pellicola intollerabilmente noiosa.
Lui, invece, se l’è cercata.
Un onesto saluto.
Stan
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