Dilemmi morali

Mia cara Berenice,

tu frequenti troppo l’aristocrazia: dove diavolo l’hai trovata una principessa imperiale indocinese? Del resto, è normale che costei – non riporterò il suo nome impronunciabile – sia acida. Ha dovuto subire prima l’Amministrazione coloniale repubblicana francese, poi un regime comunista, infine – quel che è peggio – l’esilio a Miami.

Ti ha accusato di avere “First World problems”, come se lei vivesse ancora nelle sue natie giungle. Spiegale che chiunque viva nel Primo Mondo ha problemi da Primo Mondo.

Io, per esempio, faccio sempre una fatica terribile a trovare giochi decenti per cellulare. Sarei anche disposto a pagare cifre ragionevoli, ma non per prodotti di dubbia provenienza, corredati da recensioni spesso artefatte.

Molti, oltretutto, rivelano di essere a pagamento solo dopo averti fatto giocare i primi livelli. L’inganno che ho subito io è stato di diversa natura. Ho scaricato un videogioco con recensioni ottime e apparentemente autentiche, anche perché pesava solo un paio di centinaia di mega.

Lo provo per qualche minuto e la grafica e la storia sono effettivamente di livello inusitato, come promettevano gli altri utenti. A quel punto, sono andato a sbattere non contro il solito paywall, ma contro la richiesta di scaricare oltre sette giga di dati.

Il mio cellulare, acquistato nel 2020, è ormai quasi pieno. Ha l’alloggio per una seconda scheda che potrei sfruttare per ampliare la memoria, ma mi secca condurre tutta l’operazione, anche affidandola a qualche tecnico.

Dopo una notte di tentennamenti, ho effettuato un’accurata pulizia delle cache e scaricato il pacchetto di dati. Com’è il gioco, alla fin fine? Non lo so ancora, oggi dovevo tradurre un video aziendale.

Suspence!

Stan

Sabotatori felliniani

Mia cara Berenice,

la crisi ucraina continua a trascinarsi, monotona e straziante al tempo stesso, come quel concerto di violino al Teatro di Marcello a cui mi trascinasti.

Il Servizio di Sicurezza Federale, successore del KGB, ha reso noto di aver catturato “sabotatori” ucraini sconfinati in Russia.

Sarà l’assoluta inaffidabilità delle notizie russe, ma questo accenno ai sabotatori mi evoca immagini oniriche e felliniane, tra il surreale, il grottesco e l’erotico.

Nei videogiochi in cui, come molti, ho dissipato la mia adolescenza, le missioni di infiltrazione e sabotaggio evocavano, nella mente dei programmatori, silhouette agili e sfuggenti, per cui erano spesso affidate a fanciulle in succinte uniformi paramilitari.

Inevitabilmente viene in mente la Tanya di Red Alert, interpretata da una pletora di attrici diverse o, in un contesto meno schiettamente militare, la Lara Croft di Tomb Raider. Personalmente, per qualche motivo mi sono rimaste confitte nella mente le Black Ops del primo capitolo di Half-Life, donne interamente coperte da tute nere aderenti, passamontagna e visori a raggi infrarossi: decisamente meno fanservicey di tante colleghe, ma dal vago sapore sadomaso. Del resto, vincevano facile, essendo letteralmente l’unica presenza femminile in un universo popolato da alieni ributtanti e marine nerboruti.

Quindi, ricapitolando, prendiamo una Black Ops di Half-Life, posizioniamo sullo sfondo qualche veicolo militare bielorusso con la stella rossa e abbiamo un perfetto sfondo per il PC o il cellulare.

Si sdrammatizza, prima che la Russia riconosca l’indipendenza del Donbass.

Stan

Marxismo videoludico

Mia cara Berenice,

è incredibile quanto la caduta del Muro di Berlino sia stata uno spartiacque.

Dal giorno alla notte, i marxisti sono scomparsi come la neve al sole. Se sei un diseredato, un operaio sfruttato, un immigrato sans papier, tutto puoi diventare – di estrema destra, islamista, membro di un collettivo -, fuorché comunista.

Un solo paradiso dei lavoratori è rimasto. No, non Cuba, e tantomeno la Corea del Nord o il Venezuela. L’arena virtuale dei videogiochi per cellulare.

In quello spazio cibernetico, accade qualcosa di strano: è come oltrepassare un sottile diaframma spazio-temporale che ti riporta nella Germania Est. La stessa persona che, nella vita reale, spende senza batter ciglio centinaia di euro per un paio di scarpe da ginnastica americane, improvvisamente considera un insulto personale dover sborsare 99 centesimi per scaricare un videogioco.

Gli sviluppatori di app sono proletari anch’essi, per cui si tollera che costoro si facciano ripagare i loro sforzi almeno inserendo qualche intermezzo pubblicitario nel videogioco; ma lo si sopporta storcendo il naso, con malevola condiscendenza e, comunque, entro rigidissimi limiti di etichetta.

La fedeltà dell’universo parallelo a quello marxista è tale che, esattamente come in quest’ultimo, quasi subito ci si scontra con la dura, cruda, ancestrale realtà.

Ecco il nostro giovane pioniere aggirarsi sotto l’alba radiosa di un mondo post-apocalittico. Vestito di stracci, procede guardingo, facendosi precedere dalla canna di un Kalashnikov raffazzonato, faticosamente messo insieme un pezzo alla volta, un bonus giornaliero alla volta, una cassa di munizioni nascosta alla volta, un video pubblicitario – vergogna! – alla volta.

Fra i corridoi e le scale di un centro commerciale abbandonato, si imbatte in un gruppo raccogliticcio di altri proletari come lui. Scoppia una guerra stanza per stanza, metro per metro, come a Stalingrado, per la sopravvivenza. Il fiero Kalashnikov fa il suo lavoro e il nostro emerge dall’Uscita Ovest malconcio, ma vivo. Si addentra barcollando nel parcheggio del centro, quando, all’improvviso, un’ombra oscura il sole.

Si tratta di un altro giocatore, un rinnegato che ha acquistato dei potenziamenti a pagamento. Una quindicina di dollari americani, niente di più. Tanto basta perché si erga racchiuso in un esoscheletro alto tre metri, lucido di cromature, gli arti rigonfi di mitragliatrici e lanciarazzi. Punta le mostruose appendici senza fretta, dall’alto, in un clangore di metalli. Con la velocità guizzante delle bestiole braccate, il nostro punta punta il Kalashnikov al petto piastrellato d’acciaio, svuota l’intero caricatore… ma, ahimè, è come tirare sassolini contro un muro.

La mitragliatrice del giocatore pagante si avvolge in un’aura di luce purpurea… ecco, non è una mitragliatrice, è un laser. Un fascio di luce si concentra sul nostro, trapana e trapassa ululando il tessuto stesso dell’universo. Quando si dissipa, dove c’era il giocatore proletario è rimasto solo un foro circolare sull’asfalto; del nostro, non sono rimaste nemmeno tracce di pulviscolo.

Dall’altra parte del display, l’utente impreca e si affretta a disinstallare l’app, non prima di aver lasciato nello store una recensione lapidaria che suona come un malum carmen: “Il solito gioco Pay to Win”.

Un saluto col pugno chiuso.

Stan