Tradotta militare

Mia cara Berenice,

del giovane Clint Eastwood, si diceva avesse due espressioni: con cappello e senza cappello.

Nel viaggio in treno per il Veneto, anch’io oscillavo tra due sole modalità, come regolato da un interruttore: con mascherina e auricolari, e senza mascherina e auricolari, per dare un minimo di sollievo alle orecchie. Non sono abituato a portare auricolari o cuffie, non li amo; per giunta, alla solita farmacia mi hanno dato una nuova marca di FFP2 le cui fettucce tirano terribilmente.

Mi sentivo come i marine di stanza in Arabia Saudita in “Jarhead” (USA-Germania, 2005): “La nostra attuale missione è proteggere i pozzi di petrolio dei nostri cari amici del Regno dell’Arabia Saudita fino a nuovo ordine e, signori, sto parlando di tanto petrolio, ma tanto petrolio: perciò vi idraterete, vi abituerete al deserto e vi idraterete di nuovo”.

Alla fine, però, proprio come nella Guerra del Golfo, l’azione è arrivata. Il ragazzo seduto alla mia destra mi era fin da subito riuscito simpatico, per come si era rivolto a me, ai suoi interlocutori telefonici e alle hostess. Tosto ha impostato la sveglia sul cellulare, si è infilato un paio di tappi per le orecchie ed è sprofondato in un beato sonno di piombo, da eroe, da giusto e da bambino.

Non pensavo reggesse fino all’ultimo, ma passata Padova era ancora saldamente tra le braccia di Morfeo. Così, improvvisatomi artificiere o sminatore, con la massima cautela, ho riposto le mie cose nel borsello e nello zaino, ho sollevato il vassoio davanti a me, ho fatto lo stesso con quello davanti a lui e ho cercato di scavalcarlo. Ho fallito, ma ha apprezzato così tanto che ha voluto assolutamente tirarmi giù il trolley dalla cappelliera.

Un saluto militare.

Stan

Far partire un treno

Mia cara Berenice,

N. mi ha accompagnato, con il giusto anticipo, alla stazione di Reggio Calabria, prima di proseguire per Catanzaro, dove riprenderà servizio in Prefettura domani.

Il treno attendeva disciplinatamente al Binario 6. Le luci nelle carrozze erano ancora spente e le porte sbarrate, ma i posti assegnati consentivano ai passeggeri di disporsi lungo la banchina. Io ho raggiunto la coda.

Poco dopo, è arrivato un operaio in uniforme catarifrangente, trascinandosi dietro un lungo tubo di gomma che ha applicato al ventre del vagone, prima di premere un pulsante salutato da una serie di spie luminose. Ignoro in cosa consistesse l’operazione, ma alcuni simboli suggerivano che stesse svuotando la vescica del treno.

All’operaio si è unito un secondo giovane in abiti civili. I due hanno discusso brevemente, dopodiché l’operaio ha rimesso in moto il serpentello di spie e staccato il tubo, lasciando il campo a uno steward in uniforme, dispostosi tra l’ultima e la penultima carrozza, rispettivamente prima e seconda nella nomenclatura ufficiale.

Un suono metallico ha annunciato l’apertura delle porte. La classe Club è piena, compresi i due salottini. Lo stewart ha servito caffè espresso, acqua minerale, cracker, cubetti di parmigiano, gel igienizzante e una salvietta rinfrescante, prima di dirigersi in prima classe.

Cala il sole sul mare.

Stan

Il treno imperiale

Mia cara Berenice,

ieri sera, tornato a casa dopo alcune incombenze al cinema, ho vista “Lo zar e la ballerina” (Russia, 2017), sull’infelice amore tra Nicola II e l’étoile Matilda Kshesinskaya, sinistro presagio del déluge in arrivo.

Una delle prime sequenze è ambientata sul treno imperiale, sontuosamente rifinito e, soprattutto, ben riscaldato, a differenza dei convogli visibili in “Anna Karenina” (GB, 2012) – certo, il romanzo di Tolstoj è ambientato nel secolo precedente.

Tutto perfetto, dunque, se non fosse che il treno deraglia rovinosamente, minacciando di liquidare la Famiglia Imperiale con ambio anticipo rispetto al Soviet degli Urali.

Nessuno stupore, del resto, il vero treno imperiale è quello della linea Trieste-Venezia che, oggi, mi ha portato da C. all’antica Dominante e ritorno.

All’andata, la ragazza bionda davanti a me, al telefono, raccontava a un’amica che l’uomo con cui si stava frequentavo le aveva appena mandato un messaggio di redivivo ermetismo: “Stronza”.

“Vuol dire che gli manco,” ha spiegato.

Al ritorno, le due ragazzine accanto a me deploravano la condotta di una compagna di classe che, durante l’estate, aveva praticato “la parola con la ‘p'” al compagno di banco.

“Voglio dire, ma come fai a guardarlo in faccia per il resto dell’anno scolastico? Capisco che è estate… ci sta un abbraccio, ci sta un limone, ma non…”

“Forse siamo noi all’antica”.

Come è ormai prassi nella nostra corrispondenza, per par condicio e correttezza politica simulerò la presenza sulla carrozza di altrettanti passeggeri di sesso maschile.

Uno, all’andata, svolgeva un’articolata lamentazione sulla debolezza della Juventus quest’anno. Per dimostrare la sua tesi, utilizzava una tecnica simile a quella delle genealogiche bibliche o epiche: partiva da una squadra che aveva battuto la Juventus e dimostrava come la stessa fosse stata a sua volta sconfitta da squadre ancora più deboli, talvolta perfino in inferiorità numerica.

Al ritorno, un altro rivelava che un medico di base della provincia aveva debellato tutti i casi di covid fra i suoi assistiti applicando la terapia domiciliare precoce, basata su farmaci comunissimi e di facile reperibilità.

“E allora perché non lo fanno?”

“Eh, perché comandano i tedeschi!”

“Che c’entrano i tedeschi?”

“Ma come? Oh! La Pfizer è tedesca!”

Uno sferragliante, trionfale saluto.

Stan

Mirabolanti avventure

Mia cara Berenice,

nonostante lo scarso entusiasmo suscitatomi da Bruxelles e dalla Commissione Europea – e lo scarso entusiasmo che io ho suscitato in loro – continuo a partecipare ai bandi dell’Ufficio Europeo per la Selezione del Personale. Restano infatti pur sempre meno impegnativi e più economici dei concorsi italiani. Inoltre, in caso di assunzione, il Ministero mi concederebbe un periodo di aspettativa corrispondente a quello di prova, al termine del quale potrei decidere liberamente se restarmene a Bruxelles o tornarmene a Roma.

Oltretutto, l’Ufficio aveva annunciato in pompa magna che sarebbe stato consentito sostenere le prove d’esame da remoto. Ci ho provato la settimana scorsa, ma è stato un disastro. L’operatore, collegatosi dalle Indie Orientali, non riusciva a leggere il mio passaporto e la connessione continuava a interrompersi, benché la mia WiFi funzionasse, a ogni altro fine, come di consueto.

Ho pertanto inviato all’Ufficio una mail piuttosto piccata e ottenuto di sostenere l’esame stamattina, in presenza, al solito centro d’esame. Purtroppo, a quanto pare non è più possibile scegliere l’orario, ma bisogna presentarsi alle otto e mezza spaccate.

Così, stamattina all’alba – almeno rispetto alle mie abitudini – ho preso il tram fino alla stazione di Trastevere e da lì l’autobus in direzione Millevoi.

Arrivato in zona Granai, sono sceso e, attraversato un parco, ho raggiunto il centro d’esame.

Conclusa l’incombenza, ho proseguito fino alle pendici di un imponente complesso residenziale circolare che dominava l’orizzonte e da tempo mi incuriosiva, scattando qualche fotografia.

Lì sono saltato sul primo autobus per il Teatro di Marcello e ne sono sceso a Eataly, dove ho acquistato un formaggio erborinato allo zenzero, un tortino di carote e una treccia di pane farcita di pomodoro.

A quel punto ho preso la metro, impresa piuttosto laboriosa a causa delle disposizioni covid, in ottemperanza alle quali erano stati interdetti due accessi su tre. Nell’atrio della Stazione Ostiense, mi sono imbattuto in un evento organizzato nell’ambito della Settimana Europea delle Ferrovie.

Avvertito dalla mia app che il Tram 3 stava per passare, ho lasciato perdere l’inospitale bunker della metro e, sul nuovo mezzo, ho attraversato Testaccio e percorso il viale di Trastevere, fino ad approdare alla stazione ferroviaria di partenza e, da lì, a casa.

Non era nemmeno mezzogiorno.

Credo di aver surclassato totalmente lo avventure di Astolfo e di Gulliver.

Un orgoglioso saluto.

Stan

L’orrore inesprimibile

Mia cara Berenice,

l’orrore inesprimibile si annida nelle lande più estreme della nostra psiche, nel nostro intimo più riposto, nelle pagine di Lovecraft e in quelle di Moccia.

Suo habitat naturale sono le cripte sudate di umidità – memorabili le cantine de “Il barile di amontillado” di Edgar Allan Poe -, le segrete dei manieri e dell’Inquisizione, le chiese sconsacrate, le grotte dimenticate dai cartografi, gli ultimi santuari pagani, i Treni Regionali e ad Alta Velocità.

Nelle carrozze metalliche vibra un rumore sordo, un brontolio di stomaco di cetaceo, un raschiare di gola infetta, un raschiare di zanne purulente: sono i passeggeri che sbraitano al telefono nelle rispettive inflessioni regionali o riproducono contenuti audiovisivi dagli altoparlanti dei dispositivi o attraverso cuffie porose di pietra pomice.

È in queste cupe casse di risonanza, ancestrali tamburi di pelle umana tesa e follia, che si materializzano terrificanti fantasmi.

Una ragazza si erge davanti ai miei occhi. Indossa un pesante scialle di lana traforata, perché sul treno una mano ignota, visti i 34 gradi all’esterno, ha acceso l’aria condizionata. Accenna a sfilare dalla cappelliera un trolley della misura più piccola, quando la madre la gela, imperiosa come un soprano all’Opera: “Non puoi farlo tu, quel lavoro! Chiama un maschio!”

Un rivirilizzato saluto.

Stan

Rettifica

Mia cara Berenice,

ti invio la presente su diffida della compagnia Nuovo Trasporto Viaggiatori, proprietaria del Treno ad Alta Velocità che mi ha condotto a Roma oggi.

La compagnia, tramite lo Studio Legale Scialoia, Gherardelli & Partners di Milano, inserito nella lista Top Legal 500, vincitore del secondo premio Law Firm Boutique 2020, mi chiede di precisarti quanto segue.

1) All’altezza di Firenze, mi recavo nella carrozza 7 per usufruire del distributore automatico di snack, dal quale tuttavia mi allontanavo dopo che un problema meccanico aveva impedito l’erogazione del prodotto, un sacchetto di taralli. Tornato nella carrozza 9, di lì a poco venivo raggiunto da una graziosa ragazza – caschetto, voce melodiosa e sacchetto di taralli nelle candide mani curate -, la quale, sorridendo sotto la mascherina, mi comunicava che il prodotto era stato erogato poco dopo il mio allontanamento.

2) Il treno faceva il suo ingresso nella stazione di Roma Termini con dieci minuti di anticipo.

Con viva cordialità.

Stan