Mia cara Berenice,
mentre il Servizio Meteorologico annuncia l’arrivo dell’anticiclone Caronte, mio orgoglio e vanto è il vento secco e fine come un buon vino che ieri batteva Monteverde e Villa Pamphili, così che lo stendersi sul curvo declivio e leggere un libro sull’Imperatore Tiberio era non solo sopportabile, ma gradevolissimo.
In un’epoca in cui l’estate è l’equivalente di un’invasione di draghi e le influencer vendono le loro flatulenze in barattolo, non suona strano vantarsi del vento, una locuzione che anzi ingloba l’accezione negativa, di fatuità che si attribuisce a questo verbo.
Si può perfino immaginare un’immaginaria voce di dizionario.
Vantarsi del vento [gerg.], vantarsi per nulla, inutilmente.
Meglio ancora, di enciclopedia.
Vantarsi del vento [gerg.], vantarsi per nulla, inutilmente. Alturo i Perugo fa risalire l’espressione addirittura a un brano di Curzio Rufo su un ammiraglio persiano che si sarebbe vantato di una vittoria dovuta esclusivamente a favorevoli condizioni meteorologiche; secondo von Sybel, peraltro, l’ammiraglio in realtà avrebbe garantito venti e correnti favorevoli, poi non concretizzatisi. Secondo de Riquer i Morera, in ogni caso, l’episodio bene o mal riportato da Curzio Rufo non avrebbe nulla a che fare con l’espressione, che sarebbe ben più recente e risalirebbe alla Seconda Guerra Mondiale, quando il generale José Millán-Astray, commentando le controffensive russe sul fronte orientale, affermò sprezzantemente che Stalin “si vantava del vento freddo della steppa”. Per García Negro, in realtà, le origini dell’espressione non sono ricostruibili ed essa sarebbe “semplicemente nata ‘a senso’, coadiuvata da una certa naturale orecchiabilità sia fonetica che concettuale”.
Un dotto saluto.
Stan