Deutschland Über Alles?

Mia cara Berenice,

come sai, per vocazione e necessità, mi sono sempre occupato prevalentemente di rapporti tra l’Italia e l’Unione Europea, senza per questo essere un eurofilo; anzi, ho un passato di euroscettico.

Gradualmente, mi sono convinto che le due Guerre Mondiali hanno messo fine all’era degli Stati nazionali per inaugurare quella delle Superpotenze, Stati Uniti e Cina con la Russia a combattere una battaglia di retroguardia, mentre altri contendenti attendono di scendere nell’arena: Brasile? Nigeria? Sudafrica? India? In questa nuova epoca, l’Europa divisa rischia di essere il manzoniano vaso di coccio tra i vasi di ferro. Nella migliore delle ipotesi, un buen retiro all’interno dei cui confini si vive bene, magari perfino meglio che nelle Superpotenze, ma senza voce in capitolo a livello mondiale. Non sarebbe così male, dirai tu. Non sarebbe un destino all’altezza della storia dell’Europa, ma soprattutto le regioni opulente e indifese tendono, prima o poi, a fare una brutta fine: ne sa qualcosa proprio l’Italia, dove l’eredità romana e lo splendore residuo hanno attirato più volte le armate straniere.

Dunque, per quanto mi riguarda, l’integrazione europea resta l’opzione migliore. Nonostante un tempo fossi sedotto, da giurista, dall’unicum del diritto dell’Unione Europea, né internazionale né federale. Nonostante il burocratese paludato della Commissione che spegnerebbe gli ardori di chiunque.

C’è però un problema. Senza scendere troppo nei dettagli, in questi giorni si sta dibattendo in Europa un’importante questione. Ho avuto occasione di partecipare a una riunione in cui erano rappresentati tutti gli Stati membri. Praticamente tutti erano contrari alla proposta della Commissione, tranne la Germania, con la Francia a traino. Dalla rassegna stampa di oggi, apprendo che, con ogni probabilità, passerà la linea tedesca. Identica direzione stanno prendendo i rapporti con gli Stati Uniti e l’Ucraina.

Ciò mi induce a pormi due domande. La prima: non avranno una parte di ragione gli euroscettici secondo cui l’Unione Europea dissimula – per dirla in modo un poco melodrammatico – un Quarto Reich? La seconda: non sarà che l’egemonia tedesca è l’unico modo per conseguire una reale integrazione?

Un kelseniano saluto.

Stan

Quel profumo di tarda Prima Repubblica Italiana a Bruxelles

Mia cara Berenice,

il Consiglio dell’Unione Europea ha trovato l’accordo per l’introduzione della minimum tax, già in vigore in Italia – con tutt’altro significato, naturalmente – negli anni ’90.

Tutto questo nella Bruxelles risvegliatasi dopo la clamorosa retata di politici e dirigenti sindacali, accusati di aver ricevuto letteralmente sacchi di denaro dall’Emirato del Qatar, dove ancora si gioca il Mondiale. Siccome nulla stimola la retorica aulica quanto un’accusa di corruzione, la più illustre degli inquisiti, un’importante europarlamentare greca, proclama che non si farà sacrificare come Ifigenia, la figlia di Agamennone e Clitennestra immolata agli dei affinché questi lasciassero partire la flotta achea alla volta di Troia. Sangue chiama sangue, Clitennnestra non perdonerà mai la morte della figlia al marito, fino ad assassinarlo al suo ritorno dalla lunghissima guerra. Sangue chiama sangue e Clitennestra cadrà, a sua volta, per mano dei figli Elettra e Oreste, vindici del padre.

Coro sacerdotale di questo teatro greco, le Istituzioni continuano a salmodiare il loro linguaggio paludato e una misteriosa Conferenza sul Futuro dell’Europa, articolata in collegi, tiene infinite sessioni.

La Commissione spende e spande con larghezza, è recentissimo il lancio della consultazione-lampo su un probabile, ampio allentamento delle norme sugli aiuti di Stato, in risposta ai generosi sussidi offerti dalla Casa Bianca alle imprese americane. A impersonare i cattivi restano i tecnici della Banca Centrale Europea di Francoforte che, tra i fischi della folla e i lanci di pomodori, annunciano l’ennesima stretta sui tassi.

La politica estera, almeno, è saldamente filoatlantica, ma non senza qualche ombra di ambiguità a Parigi e a Berlino, non senza iniziative di pace sotterranee e ufficiose, non senza movimenti nel buio umido dei Servizi Segreti, a cui si attribuisce un ruolo non ben definito anche nello scandalo giudiziario.

Cosa dobbiamo aspettarci ora? Un’effimera stagione giustizialista, come sembrano preannunciare le prime reazioni delle Istituzioni e dei partiti? O un lavoro di cesello dei giuristi, in nome dell’indipendenza delle Istituzioni europee, i cui rappresentanti non possono essere alle mercé della polizia e magistratura belghe? O ancora un magnate simpatico e spiccio, magari proveniente dal mondo della tecnologia e dell’informatica, si farà avanti inaspettatamente per traghettare l’Unione nel terzo millennio, in un’incruenta e gioiosa rivoluzione di libertà?

Attendiamo gli sviluppi, cara amica e compagna.

Stan

NATO, UE e cerchi concentrici

Mia cara Berenice,

mai si è parlato tanto di NATO come in queste settimane, ed è quindi curioso, per un giurista come me, leggere il Trattato del Nord Atlantico e non trovarvi traccia della relativa Organizzazione.

L’articolo 3 sembra anzi escludere ogni collaborazione strutturata: “Al fine di raggiungere più efficacemente gli obiettivi del presente Trattato, le Parti, separatamente e congiuntamente, in continua ed efficace autonomia e mediante l’assistenza reciproca, mantengono e sviluppano la loro capacità individuale e collettiva di resistere a un attacco armato”.

L’articolo 9, tuttavia, prevede, se non un’organizzazione, quantomeno degli organi: un Consiglio e organismi ausiliari istituiti dal medesimo, tra cui obbligatoriamente un Comitato di Difesa.

Da questo seme è nata una vera foresta di enti, organi e uffici, tra cui una Divisione Informazioni e Sicurezza, un Tribunale Amministrativo, uno Stato Maggiore, diversi Comandi e Agenzie controllate.

Giuridicamente, tuttavia, la natura destrutturata dell’accordo non cambia, tanto è vero che la Francia per un lungo periodo si è ritirata dall’Organizzazione, pur restando Parte del Trattato. Proprio per questo motivo, negli anni ’60 il Comando Supremo e la sede centrale della NATO si sono spostati da Parigi a Bruxelles.

Insomma una palla di gomma elastica che sta mostrando la sua duttilità anche in occasione della crisi ucraina. Da una parte, alcuni importanti Paesi dell’Organizzazione avrebbero offerto a Svezia e Finlandia garanzie di sicurezza interinali, in attesa dall’ammissione formale da parte del Consiglio Atlantico. Dall’altra, la Russia ha liquidato la domanda d’adesione di Stoccolma e Helsinki come irrilevante, sostenendo che i due Paesi nordici sarebbero già di fatto integrati nell’Organizzazione.

Qualcosa di simile sta accadendo sul fronte europeo, dove la Francia ha proposto di ricreare una Comunità Europea aperta a Gran Bretagna e Ucraina, dopo che la storica CE è stata sciolta dal Trattato di Lisbona.

Insomma, dal sasso gettato da Mosca si allargano una serie di cerchi concentrici nello stagno.

Un paludoso saluto.

Stan

Europa e guerra, Europa in guerra, Europa di guerra

Mia cara Berenice,

non mi aspettavo tanto entusiasmo, da parte tua, per il riarmo della Germania: hai già dimenticato Sadova e la perdita del Lombardo-Veneto?

Oltretutto, in ambito militare l’Europa non spende così poco, piuttosto spende male. Poco fa, l’Alto Rappresentante Josep Borrell notava che le spese militari europee sono quasi l’equivalente di quelle cinesi e il quadruplo di quelle russe.

Da una parte, la Cina dichiara, secondo le stime, la metà di quanto spende. Dall’altra, immagino che Borrell non tenesse conto della Gran Bretagna, le cui forze armate non sono affatto disprezzabili.

Come mai una cleptocrazia come la Russia spende un quarto di noi e può permettersi interventi in Siria e Ucraina, mentre noi non oseremmo invadere il Bhutan? C’è il terror belli di cui l’Europa è imbevuta dopo due Guerre Mondiali, certo; ma ci sono anche, banalmente, duplicazioni e inefficienze, come dimostrato dal tentato intervento anglo-francese in Libia.

Inoltre, come diceva il mio vecchio amico G., grande esperto di guerra sottomarina, è inutile integrare le forze armate europee, finché non esiste una vera politica estera e di difesa comune, sottratta al diritto di veto di ciascuno Stato membro.

Tuttavia, l’infame guerra in Ucraina un impatto positivo l’ha avuto. Approfittando dello sconvolgimento portato dal conflitto, il senatore Giovanni Pittella, detto Gianni, già Vice-Presidente Vicario e capogruppo socialdemocratico al Parlamento Europeo, ha osato rompere un vero e proprio tabù. Nel corso di un’audizione davanti alla Commissione Finanze della sua Camera, Pittella ha ammesso che sul PNRR bisogna “avere il coraggio di guardare la realtà. Il termine ultimo del 2026 perché la spesa debba essere certificata è oggi irrealistico”. Naturalmente, Pittella ne incolpa soprattutto la guerra, ma ha l’onestà di accennare anche alle criticità amministrative, soprattutto nei Comuni.

Insomma, viene finalmente certificato l’ovvio. Perché costringere l’Italia, che fatica a spendere i fondi europei ordinari in un settennio, a impiegare una somma enormemente più elevata in un quinquennio? Nella peggiore delle ipotesi, sarà un plateale fallimento, non solo per l’Italia, ma anche per le Istituzioni europee e il processo di integrazione. Nella migliore, avremo una spesa di pessima qualità, forse ancora più deleteria.

Un profetico saluto.

Stan

Agricoltura e mercato

Mia cara Berenice,

il Primo Ministro Narendra Modi, l’uomo forte dell’India, è stato costretto dalle proteste dei contadini a ritirare il pacchetto di leggi che componevano la sua ambiziosa riforma agraria, finalizzata a liberalizzare un settore fortemente regolamentato e sussidiato.

Bizzarramente, il tentativo di Modi non è nemmeno stato accennato in contesti talvolta associati al liberismo, come Unione Europea e Stati Uniti.

Nell’UE, la Politica Agricola Comune (PAC) vale quasi 60 miliardi l’anno, contro i poco più di 100 del bilancio generale delle Istituzioni.

Negli Stati Uniti, il Ministero dell’Agricoltura federale spende 450 miliardi l’anno. Una cifra non stellare in un bilancio federale misurato in triliardi, ma che comunque ne fa uno dei Ministeri più ricchi, preceduto solo da Tesoro, Salute, Difesa, Servizi Sociali, Lavoro e Istruzione, surclassando nettamente Trasporti, Edilizia, Sicurezza Interna, Esteri, Energia, Commercio e Giustizia, nonché la NASA e l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente.

Agricoltura allergica al mercato, dunque? Verrebbe da dare senza esitazione una risposta affermativa, ricordando storie come quelle della United Fruit in America Latina o quelle, più recenti, sull’accaparramento di terre (land grabbing).

Eppure, ci sono storie anche diverse.

Quella dei contadini sovietici, strenui difensori della piccola proprietà e imprenditoria, fino a costringere Lenin a varare la Nuova Politica Economica e Stalin una delle sue più bestiali campagne di repressione.

Quella dei braccianti italiani che ottennero, nel secondo dopoguerra, la distribuzione delle terre.

Quella dei contadini vietnamiti che, secondo molti, non sarebbero passati armi e bagagli al Viet Cong, se avessero strappato al Governo di Saigon una riforma agraria decente e una redistribuzione del latifondo privato ed ecclesiastico, prosperato all’ombra dell’Amministrazione coloniale francese.

Il rapporto sullo stato dell’alimentazione e dell’agricoltura adottato dalla FAO nel 2020 è tutto incentrato sulla crisi idrica e, pur riaffermando l’ovvia importanza delle politiche pubbliche, non sembra invocare misure statali invasive. Un altro rapporto settoriale del 2012, lungi dalla scacciare gli investitori stranieri come mercanti dal tempio, li incoraggia a coinvolgere nelle loro filiere gli agricoltori locali.

Che dire, poi, delle antichissime fiere agricole o dell’assiduità dei contadini, anche dopo la pensione, ai mercati locali?

Un sacchetto frusciante di uova? Fresche fresche.

Stan

Il colosso d’argilla con i piedi nella sabbia

Mia cara Berenice,

hai perfettamente ragione, l’Allargamento è stato un errore. I Paesi dell’Europa dell’Est venivano da decenni di vassallaggio nel Patto di Varsavia ed è normale che ora difendano, con le unghie e con i denti, la sovranità nazionale.

La Polonia, in particolare, ha forti radici cattoliche, ulteriormente rinsaldate dalla Guerra Fredda: nulla di male, ma l’Unione Europea è laica e tutela i diritti LGBT.

Una frattura allargata – altro assurdo paradosso – dalle politiche di Coesione Territoriale che, essendo parametrate sullo sviluppo regionale, fanno piovere soldi proprio sugli Stati membri più riottosi.

Posso perfino spingermi oltre e affermare che la politica di allargamento e pre-adesione tutta è stata gestita in modo dilettantistico e senza alcun criterio. Ne è testimone lo status di Paese candidato improvvidamente attribuito alla Turchia, fonte di crescente disagio per Bruxelles e Ankara.

Per quanto riguarda, però, lo specifico caso della sentenza con cui il Tribunale Costituzionale polacco disconosce la primazia del diritto dell’Unione Europea su quello nazionale, la giurisprudenza di Varsavia si inserisce nel solco già tracciato da quella italiana e tedesca.

Tanto a Roma quanto a Berlino, infatti, i massimi organi giurisdizionali si sono riservati il diritto di sindacare la legittimità costituzionale del diritto dell’Unione Europea, Trattati istitutivi compresi.

Non una vuota minaccia, ma un principio di diritto che ha consentito, anche di recente, di discutere davanti ai Tribunali tedeschi le politiche monetarie della Banca Centrale Europea, costringendo la stessa Corte di Giustizia di Lussemburgo a un’insolita e irrituale presa di posizione pubblica.

La verità è che il diritto dell’Unione Europea poggia sulla sabbia. La Prof. F. notava che le sue fondamenta sono procedure assolutamente tipiche del diritto internazionale più classico, come la stipula di trattati in forma solenne, con firma e ratifica. Non a caso, si è tentato infruttuosamente di sostituire ai Trattati una Costituzione Europea, poi derubricata a Trattato Costituzionale, comunque mai ratificato. Perfino il Prof. C., già primo referendario di un celebre Avvocato Generale, circoscriveva la primazia del diritto dell’Unione Europea a determinate materie in cui l’integrazione è più avanzata, come il diritto della concorrenza.

Sono consapevole che nell’ambito dei processi storico-politici il diritto ha un peso relativo e, all’occorrenza, può cambiare radicalmente e repentinamente: l’esempio più limpido è probabilmente la Rivoluzione Francese, culminata nella codificazione napoleonica.

Se tuttavia usiamo il diritto dell’Unione Europea per effettuare una prognosi sull’esito del processo di integrazione, ebbene, il cavallo non parte certo dai box con i favori del pronostico.

Un caro saluto.

Stan

L’ordine delle precedenze

Mia cara Berenice,

seguii con vivo interesse, a suo tempo, l’ascesa alla Presidenza della Commissione di Ursula von der Leyen. Con quel nome tra il supercattivo di James Bond e il feldmaresciallo prussiano, e proveniente com’era dal Ministero della Difesa tedesco, sembrava perfetta per scatenare sovranisti e complottisti. “La nuova Kaiserin invade per la terza volta Bruxelles al passo dell’oca. L’ultima volta, qualche anno dopo la Wehrmacht entrò a Roma: succederà lo stesso?”

Invece, non è riuscita a salire sull’Olimpo delle nemesi gentiste insieme a George Soros, Bill Gates e Big Pharma, inquietante divinità lovecraftiana a forma di siringa vaccinale.

Anche perché – diciamoci la verità – nessuno presta particolare attenzione al Presidente della Commissione Europea, se non quando il Presidente della Turchia le nega una sedia.

La solita scarsa incisività delle Istituzioni europee a livello internazionale? Misoginia, pura o mista a islamismo?

Come troppo spesso accade, l’unico giornale a sviscerare fino in fondo la vicenda è il Post che, ai due possibili motivi sopra indicati, ne affianca un terzo.

Come spesso accade negli affari europei, potrebbe essere stata una questione di atti e norme.

Innanzitutto i Trattati istitutivi, che non demarcano chiaramente le competenze di Commissione e Consiglio in materia di relazioni esterne.

Etiam, il protocollo ufficiale del Consiglio dell’Unione Europea che, effettivamente, antepone il Presidente del Consiglio a quello della Commissione. Potrebbe essere semplicemente avvenuto che qualche funzionario del Cerimoniale turco, su tale base, abbia ritenuto che il solo Presidente del Consiglio dovesse sedere accanto al Capo dello Stato ospitante.

Anche l’Italia ha un apposito ordine delle precedenze, disciplinato con Decreto del 2008 e diviso in ben sette categorie.

In nessuna compare il Presidente della Repubblica, che immagino fare categoria a sé.

Nella prima categoria, nell’ordine, i Presidenti delle Camere, del Consiglio dei Ministri, della Corte Costituzionale e i Presidenti Emeriti.

Nella seconda, tra gli altri, i Ministri, il Decano del Corpo Diplomatico, i Presidenti di Regioni e Province Autonome, il Primo Presidente della Corte Suprema di Cassazione, i Sottosegretari di Stato, i senatori a vita.

Nella terza, tra gli altri, i Presidenti di Consiglio di Stato e Corte dei Conti, il Procuratore Generale presso la Suprema Corte, il Governatore della Banca d’Italia, l’Avvocato Generale dello Stato, il Capo di Stato Maggiore della Difesa, i Presidenti dell’Accademia Nazionale dei Lincei e del Consiglio Nazionale delle Ricerche.

Nella quarta, tra gli altri, Prefetti, Sindaci, Vescovi, Capo della Polizia, Ambasciatori d’Italia, generali di Corpo d’Armata, sindacalisti, scienziati e industriali.

Nella quinta, tra gli altri, i Presidenti delle Camere di Commercio, i Rettori delle Università, i Direttori dei Servizi Segreti, i Consoli, il Procuratore Generale Generale, l’Ordinario Militare.

Nella sesta, tra gli altri, le Medaglie d’Oro, i Direttori Generali dei Ministeri, i Questori.

Nella settima, tra gli altri, il Magistrato per il Po, i Presidi universitari, i Difensori Civici.

Non si ritiene più applicabile, evidentemente, l’articolo 21 del Trattato Laterano, ai sensi del quale “tutti i Cardinali godono in Italia degli onori dovuti ai Principi del sangue”; del resto, caduta la monarchia, non esistono più tali Principi, che nell’ordine protocollare erano secondi solo al Re d’Italia.

Un ordinato saluto.

Stan

Goodnight and Thank You

Mia cara Berenice,

è finalmente giunta al suo tormentato, burocratico, legalistico, ipertrofico epilogo la saga della Brexit, iniziata addirittura nel giugno del 2016.

Ricordo bene come, all’epoca, tanti europeisti si strapparono i capelli. Io non ne vedevo la ragione allora e non la vedo nemmeno oggi.

Qualcuno addirittura rumina e macchina vendette. Crollo della City di Londra, sostituita come piazza finanziaria da Parigi o Francoforte. Secessione della Scozia, le avanguardie dell’IRA e l’Esercito irlandese che entrano a Belfast. Scaffali dei supermercati vuoti, inglesi costretti a nutrirsi di salsicce e pudding. Scenari in parte plausibili, in parte meno; ma non è questo il punto.

Bisogna gioire, solo gioire.

Qual è l’utilità di avere uno Stato membro che oppone il veto a qualunque cosa? Nessuno, a Bruxelles, aveva la sensazione di essere uno di quei poveretti che per anni, irragionevolmente, si intestardiscono a corteggiare una donna da cui non otterranno mai neanche un buffetto sulla guancia?

Bisogna gioire, dunque, gaudemus igitur. “Goodnight and thank you,” cantavano Antonio Banderas e Madonna in “Evita” (USA, 1996). Anzi, per la precisione: “Goodnight and thank you whoever”.

Kindest regards.

Stan

La sveglia

Mia cara Berenice,

sarà un caso, ma in questi giorni di vaccini che sbocciano ovunque, in rugiadose corolle di quasi cento petali, da Bruxelles si sollevano dubbi sugli adempimenti italiani nell’ambito del Semestre Europeo. Alcuni documenti tardano ad arrivare da Roma; altri sono giunti, ma non convincono appieno.

Sta già finendo il tempo dello stato d’emergenza, della spesa illimitata, delle rotative di stampa autorizzate da Francoforte al moto perpetuo? Speriamolo, tutto meglio del virus; ma speriamo anche che il risveglio non sia troppo brusco.

La campanella di fine ricreazione, del resto, qui a Bruxelles non suona solo per l’Italia. Ungheria e Polonia oppongono il loro veto al bilancio comune, che le Istituzioni vorrebbero ancorare al rispetto dei principi dello stato di diritto. Scontati, dirai tu, per qualunque Stato membro dell’Unione Europea; a quanto pare, no. Del resto, anche la Russia è membro del Consiglio d’Europa.

Pure oltreoceano, gli Stati Uniti stanno per risvegliarsi dopo quattro anni di MAGA, anni di spettacolo che, fino alla pandemia, aveva intrattenuto anche me. Anni in cui è stato promesso un Muro fra Stati Uniti d’America e Stati Uniti del Messico, a spese dei secondi. In cui la Casa Bianca sparava cinguettii adolescenziali – anziché ruggiti metallici di missili, va pur detto.

Perfino per i guasconi dell’ex Nord America Britannico, il risveglio potrebbe essere brusco. Troveranno una Cina più in forma che mai, già pienamente ristabilitasi dal virus. Troveranno un mondo che non è più confortevolmente diviso in due blocchi, in cui perfino la minaccia islamista ha assunto i contorni fumosi e sfumati di un fantasma, in cui loro stessi non si riconoscono, tra immigrazione, sciovinismo, anima europea e Frontiera.

No, non sono spaventato, affatto. Sai bene che, per me, il risveglio è sempre brusco. Non giungo al pieno delle mie già scarse capacità mentali fino al pranzo di mezzogiorno. Le ore precedenti sono un deserto fisico, cognitivo ed esistenziale.

Un assonnato saluto.

Stan

Comitati

Mia cara Berenice,

qui in Belgio, investito in pieno dalla seconda ondata della pandemia, tutti attendono le decisioni del Comitato di Concertazione, in riunione da oggi fino a domani. Nemmeno un bel discorso del Re per annunciare il confinamento.

Cos’è, dunque, questo Comitato, succeduto ai più gloriosi Consigli della Corona?

Istituito con una legge del 1980 e poi costituzionalizzato, il Comitato si compone: di sei membri del Governo federale, tre francofoni e tre di lingua fiamminga, fra cui il Primo Ministro, che lo presiede; del Ministro Presidente della Vallonia; di due membri del Governo della Regione di Bruxelles-Capitale; del Ministro Presidente della Comunità Francese; di due membri del Governo delle Fiandre, fra cui il Ministro Presidente. In alcuni casi, nel Comitato viene cooptato il Ministro Presidente della Comunità Germanofona.

Il Comitato delibera, con voto consultivo, sui conflitti fra le molte anime, sopra descritte, dello Stato belga.

Come si sia visto attribuire le funzioni di Gabinetto di guerra pandemico, non mi è del tutto chiaro, ma posso immaginare che le sue deliberazioni, formalmente non vincolanti, siano recepite dai vari enti competenti (Governo federale, entità federate, etc.).

D’altronde anche l’Italia, contro la pandemia, ha schierato i Comitati, rammenti?

Per questo, l’organo di Concertazione belga mi fa sentire un poco a casa e, anzi, mi fa tornare ai bei tempi di Venezia e del cosiddetto “Comitatone”, istituito nel 1984 dalla Legge Speciale per Venezia e “costituito dal Presidente del Consiglio dei Ministri, che lo presiede, dal Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, dal Ministro dell’Economia e delle Finanze, dal Ministro per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, dal Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, dal Ministro dell’Università e della Ricerca, dal Presidente della Giunta Regionale del Veneto, dal Sindaco della Città Metropolitana di Venezia, ove diverso, dal Sindaco di Venezia e dal Sindaco di Chioggia o loro delegati, nonché da due rappresentanti dei Comuni di Cavallino Treporti, Chioggia, Codevigo, Campagna, Lupia, Mira, Quarto D’Altino, Iesolo e Musile di Piave, designati dai Sindaci con voto limitato. Segretario del Comitato è il Presidente dell’Autorità per le Acque Lagunari, che assicura, altresì, la funzione di segreteria del Comitato stesso”.

In fatto di Comitati, insomma, il Belgio ha ancora molto da imparare.

La Commissione, viceversa, in tema di complicazioni procedurali può forse gareggiare con l’Italia e, infatti, ha trasformato i Comitati addirittura in una scienza: la comitatologia.

Un collegiale saluto.

Stan