Macchie e pennellate

Mia cara Berenice,

il palazzo del Ministero dell’Istruzione, l’unico dicastero sito in Trastevere, è un edificio di inizio ‘900, l’ultimo in stile neoclassico prima dell’avvento dello stile razionalista. Il Duce si degnò comunque di inaugurarlo e, in cambio, fu raffigurato a cavallo in un affresco del piano nobile, dove oggi la sua maschia figura è camuffata da Mercurio.

È un palazzo quadrangolare, di angoli retti e lunghi corridoi che ritagliano cortili interni. Al piano terra, intorno alla venerabile biblioteca, sono esposte vecchie pagelle del Regno, del Fascismo e della Repubblica; in un saletta è stata ricreata un’aula scolastica che sembra uscita dalle pagine di De Amicis.

Uno scalone d’onore di solito chiuso al pubblico conduce al secondo piano, dove si trovano gli uffici del Ministro e dei Sottosegretari di Stato, il grande Salone dei Ministri e la Sala Aldo Moro, utilizzata per convegni e conferenze stampa.

Al terzo piano ha sede l’Unità di Missione per il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, corridoi e stanze semivuoti prima della pandemia, ora brulicanti come un alveare o formicaio di funzionari veterani e neoassunti, Presidi segretari di scuole e docenti comandati, consulenti ed esperti esterni. Un’ampia stanza con un orologio a pendolo ospita ben quattro scrivanie. Su una lavagna bianca, una stagista ha lasciato con un pennarello rosso i suoi saluti, spera di tornare dopo la laurea. Il finestrone che dà su Trastevere è aperto, il settembre romano e caldo e qui dentro si respira un’aria di serra. Tra il blocco esterno del condizionatore e il muro è incuneato un vassoio di pasticcini ancora incartato, il vento caldo fa tremolare i lembi della velina.

Sull’edificio incombe il Gianicolo. Là, agganciato a una panchina poco dopo il Belvedere, all’ingresso di Villa Pamphili, penzola un ombrello viola scuro. Non è difficile immaginare che qualcuno se lo sia dimenticato, nel tempo lunatico di settembre. Oltre ancora, scollinando, oltre il Casino del Bel Respiro, a un’altra panchina sotto le fronde di un albero, un gruppo di suore si gode il sole e il fresco.

Un arioso saluto.

Stan

[La] foto di Papa Giovanni

Mia cara Berenice,

passata abbondantemente l’una, il ministeriale si stiracchia e comincia a ponderare il problema del pranzo. È agosto inoltrato e la mensa interna è chiusa; poco male, si fanno due passi per Trastevere.

A Piazza San Cosimato, la strada del ministeriale si biforca. A destra il menù ordinario, al ristorante siciliano che, per dieci euro, ti serve primo, secondo, contorno e acqua. A sinistra il menù dietetico, al take away che, per cinque euro, ti incarta un primo o secondo con contorno, patate al forno degne della nonna.

Menù dietetico. Il ministeriale entra, congratulandosi con se stesso per la sua morigeratezza. Come sempre si propone di ordinare un primo, come sempre ordina un secondo con patate arrosto. Il titolare lo saluta familiarmente e si informa della sua salute. Mentre viene servito dalla banconiera, alle sue spalle entrano due turiste, altissime e biondissime.

“English?” Le accoglie il titolare.

“Yes!”

L’uscita del take away dà su un altro ristorante, i tavolini all’aperto sono affollati di turisti, una mangia una cacio e pepe servita all’interno di una crosta ricurva di formaggio gratinato.

“C’è la vecchia che ha sul banco / Foto di Papa Giovanni / Lei sta qui da quarant’anni o forse più / E i suoi occhi han visto re / Scannati ricchi ed impiegati / Capelloni, ladri, artisti e figli di”.

Uno zufolato saluto.

Stan

Le scale del Ministero

Mia cara Berenice,

al Ministero dell’Istruzione, all’omonimo Palazzo in Trastevere, il mio ufficio si trova al terzo piano, esattamente sopra il piano nobile del Ministro che sarebbe il secondo. Per amor di completezza, occorre aggiungere che un’ala del piano terra ospita anche l’Ufficio e il Gabinetto del Ministro dell’Università e della Ricerca.

Fino all’inizio di quest’anno, vi era un unico Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. L’utenza era abituata al musicale acronimo MIUR e lo cantava dalle Alpi alla Sicilia: poco importa che si trattasse, nella generalità dei casi, di un carmen famosum. Poi venne un brutale decreto d’emergenza del Governo a strapparci dal seno la componente che la Costituzione definisce “di alta cultura”: “Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato” (articolo 33).

Tornando però all’architettura o alla geografia del Ministero, funziona così. Ogni mattina attraverso i cancelli, un operatore della Croce Rossa mi prende la temperatura, timbro, svolto a destra, proseguo ai piedi dello scalone d’onore che, secondo lo storico di Palazzo, venne appositamente costruito affinché i postulanti arrivassero senza fiato e dignità al cospetto del Ministro o del Sottosegretario.

Giungo così alle porte del dominio, dell’enclave del Ministero dell’Università e della Ricerca, delimitata da un videocitofono e vezzose tende appese per l’occasione. Proseguo svoltando a sinistra, costeggiando la bacheca dove mi pare tempo fa fosse esposto il Codice di Condotta.

A quel punto, ho due alternative: l’ascensore o dodici rampe di scale. Ebbene sì, hai capito bene: dodici: quattro per piano. Il Palazzo dell’Istruzione è infatti enorme, vertiginoso, di un’altra epoca, con soffitti altissimi e stanzoni enormi.

Pochi edifici trasudano così vistosamente la loro inadeguatezza al mondo post pandemico, d’altronde parliamo di un palazzo eretto all’alba del XX secolo. Il Duce, che lo inaugurò, era preoccupato della poltroneria dei funzionari pubblici, non certo del loro bilanciamento vita-lavoro.

Tornando al me stesso ai piedi delle scale, gli è inevitabile gettare uno sguardo all’ascensore, scintillante nella sua teca di vetro come il pezzo più pregiato di un museo.

Che pericolo potrà mai esserci?

Innanzitutto, il vano è piuttosto ampio. I nuovi ascensori, in corrispondenza delle quattro scale (A, B, C e D), li fece installare il Ministro della XIV Legislatura, in sostituzione dei claustrofobici equivalenti ancora operanti in qualche vano riposto dei muri. Una scelta obbligata, data l’età media del personale: o così o ammassare tutti al piano terra o assumere dei portantini.

Soprattutto, chi potrebbe mai aver infettato l’interno? Siamo in pieno agosto, due terzi del personale è in ferie e, del rimanente, solo alcune Direzioni Generali hanno richiamato il cinquanta per cento.

Poi uno fa mente locale alla quantità e qualità di ciò che ha mangiato in ferie e infila mestamente le scale. Per quanto, secondo la moderna bilancia del mio albergo, io abbia perso mezzo chilo e, peraltro, la mia alimentazione non si sia fatta molto più ordinata al rientro a Roma: a causa di vicissitudini varie, solo oggi pomeriggio riuscirò a fare la spesa. Siamo già dipendenti dal lavoro agile, senza non sappiamo più organizzarci.

Un soleggiato saluto.

Stan

Villa Pamphili-Gianicolo-Trastevere

Mia cara Berenice,

investiti dall’onda salata della pandemia, tutti ci siamo ritrovati a riplasmare le nostre abitudini.

Nel mio caso, l’assidua frequentazione dei ristoranti si è tramutata in un utilizzo frequente della consegna a domicilio, mentre le lezioni di teatro si sono spostate sulle piattaforme telematiche. Appunto in questi giorni stiamo discutendo animatamente, tra di noi e con il direttore della scuola, su quale forma dare al saggio finale, ammesso che ve ne sia uno: registrarlo da remoto? registrarlo in presenza? teatro all’aperto, dato che l’estate è alle porte?

Allentatesi ora le regole del confinamento, le nuovi abitudini cominciano a rassomigliare più strettamente a quelle vecchie.

La mia vera e propria mania delle passeggiate per Roma, documentate dall’ottimo doppio obiettivo Leica del mio cellulare, è ripresa senza troppe variazioni, compresa la sacca a tracolla contenente un ventaglio (più che mai necessario con la mascherina) e una bottiglietta d’acqua da riempire nasone a nasone. Da lunedì, quando non sarò più limitato all'”attività motoria”, si aggiungerà anche il libro.

Oltre alle magnifiche vie di Roma, sono tornato a calcare in modo ossessivo anche il mio sentiero dello spirito, nelle grandi praterie. Di che si tratta? È presto detto. Esco di casa e mi immetto nella Gianicolense, direzione Casaletto. Poco prima del capolinea dell’8, una svolta a destra, un’altra svolta a destra, ed ecco uno dei tanti ingressi di Villa Pamphili, sterminato parco dell’Urbe, dove le dita dei pini marittimi si intrecciano nel cielo.

Avanti, sempre dritto. Supero l’edificio che ospita il Centro Anziani e il bistrot. Avanti, sempre avanti, fino a circumnavigare la Fontana del Giglio. Avanti finché, sulla mia destra, si stende il grande prato dove, la domenica, si gioca a cricket. Avanti fino a lambire il Villino Algardi, con il suo labirinto di siepi e i suoi grandi vasi di agrumi.

Come sai, non sono esattamente Indiana Jones, per cui ci ho messo oltre un anno a scoprire lo stretto sentiero che, oltre il Villino, conduce a una macchia ancora più splendida di pini, ombreggiante il Villino Corsini col suo teatro (possibile candidato per il saggio?).

L’arco di Piazzale Ragazzi del 1849 è un portale che dà direttamente sul Gianicolo.

Da lì, inizia la discesa verso le celebre Fontana dell’Acqua Paola e poi giù, lungo le strette scalinate, fino a Trastevere, proprio alle spalle del Ministero.

Particolare di non secondaria importanza, proprio su quei gradini smussati ho incrociato due ragazze agghindate di tutto punto, come se stessero per recarsi in un locale notturno. Fasciate da due abiti neri, su quello sfondo color ocra pallida.

Roma non perde la sua magia.

Un caro saluto.

Stan

Trastevere

Mia cara Berenice,

a Roma fa già abbastanza caldo da sentire il bisogno della siesta dopo pranzo, sperando che essa non pregiudichi il fragilissimo equilibrio veglia-sonno della semiquarantena.

Ho dormito saporitamente e mi sono destato sotto un cielo plumbeo, perfetto per l’attività motoria consentita dall’ultimo Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. Ho verificato se ci fosse possibilità di pioggia: zero per cento.

A quel punto, ho alacremente imboccato la Gianicolense, discendendola fino al viale di Trastevere, ho svoltato ad angolo retto nell’omonimo viale e ho proseguito fino a lasciarmi alle spalle il Ministero, approdando nella parte più celebre e turistica del rione.

La mia porta per Trastevere è il triangolo di Piazza San Cosimato, dove solitamente d’estate si tengono proiezioni cinematografiche gratuite; speriamo che le Autorità le autorizzino anche quest’anno. Proseguendo, ci si ritrova sulla destra il bar di San Callisto. È considerato in odore di mala e una volta l’ho trovato chiuso per ordine della Polizia; chissà perché, ho pensato che fosse un espediente turistico.

Davanti al bar, a ridosso del muro ricoperto di graffiti, solitamente suona un’orchestrina. Dalla parte opposta della strada capita di trovare altri tavolini, non è chiaro se appartenenti al bar o a chi altri. Oltre i tavolini si erge un palazzo vaticano, il cui status extraterritoriale è chiaramente segnalato da un segnale di alt apposto dalla Gendarmeria.

Proseguendo, si sbocca sulla grande Piazza di Santa Maria, annunciata dalla fontana di Santa Maria in Trastevere e coronata dall’omonima Basilica.

Oltre quel punto, iniziano i vicoletti tortuosi fitti di ristoranti. A differenza di quanto accade a Monteverde, pochissimi erano aperti in modalità d’asporto, sono locali per i turisti e i turisti, per un bel po’ di tempo, latiteranno. Il quartiere, tuttavia, non era deserto e le gelaterie erano quasi tutte in funzione. Le due piazze erano anzi piuttosto affollate, sopratutto la prima, tanto che a San Cosimato stazionava una pattuglia dei carabinieri, a Santa Maria due militari in mimetica e mascherina.

Nel quartiere dei mille ristoranti sorge, inaspettato, il mio cinema. Incuneato in un vicoletto, a pochi passi da un pensionato di suore, alle spalle di una chiesa dal cui minuscolo sagrato, spesso, giovani preti dall’accento spagnolo suonano e si rivolgono garbatamente alla folla.

Il cinema proietta in italiano e in lingua originale, perciò è frequentato anche da stranieri. Si dirama in tre minuscole sale, una delle quali così piccola da sembrare un salottino, ma senza la comodità del salottino. Lo adoro e spero riapra presto. Uscendo dal vicolo, ci si imbatte in una piadineria romagnola, perfetta per uno spuntino prima o dopo il film.

A quel punto, si ripercorre nella notte il quartiere e poi il viale fino alla stazione di Trastevere, dove i colli di Roma riprendono a impennarsi ed è perciò bene prendere il tram 8 fino a casa; tanto, a quel punto, l’obiettivo dei diecimila passi giornalieri sarà stato abbondantemente raggiunto.

Tutto ciò ti conferma che sono un uomo dai gusti semplici, facili da soddisfare forse anche nella Fase 2. Non ho mai amato gli assembramenti, antepongo i ristoranti ai bar e la quota di quattro persone da frequentare socialmente, fissata dal Governo belga, sarebbe per me meno restrittiva che per molti.

Naturalmente, per me come per chiunque altro, l’obiettivo resta la Fase 3. Bella forza, dirai tu. Invece non è così scontato, a quanto pare. Alcuni temono la ripresa dell’inquinamento e della vita frenetica. Altri mostrano un godimento viscerale nel profetizzare sventure, sovvertimenti sociali e apocalissi. Altri ancora amavano ostentare, già prima del virus, misantropia e ansia sociale.

Gente che non si merita una piadina con prosciutto crudo, squacquerone di Romagna e rucola; oppure, utilizzando come filo conduttore il primo ingrediente, prosciutto di Parma 18 mesi, scaglie di grana, rucola e glassa di aceto. Piadine romagnole eccellenti si possono gustare anche al piano terra di Eataly Roma. Diffidare dagli impasti moderni senza strutto.

Un croccante saluto.

Stan