Le serie televisive

Mia cara Berenice,

sono felicemente rientrato ieri a Roma, un’oasi di caldo e relativa tranquillità pandemica, tutta in fregola per le imminenti elezioni del Presidente della Repubblica.

La mia breve trasferta veneta è stata estremamente piacevole, benché composta e riposta.

Questi periodi di confinamento ufficiale o ufficioso sono gli unici in cui cedo alla generale moda delle serie televisive.

Ordinariamente, le snobbo per una serie – nota il bisticcio – articolata quanto inattaccabile di motivi.

Innanzitutto, la congerie di abbonamenti e piattaforme, defatigante prima ancora che costosa.

Etiam, l’impegno a lungo termine di seguire trame convolute dipanate su più stagioni, paragonabile di questi tempi a un matrimonio, o all’attesa dei proci per la tela di Penelope. Non a caso, ho guardato volentieri “Chernobyl”, appunto in quanto breve.

In Belgio, dopo aver tentato un approccio a “Baby”, ho ripiegato sulla miniserie anime “Girls und Panzer”.

Nel Veneto della peste nera, ho esaurito una stagione e mezza di “The Great”, con Elle Fanning, e sono intenzionato a visionare i cinque episodi rimanenti.

A riprova del fatto che la mia avversione alle serie non è pregiudiziale, sono stato un fanatico di “Buffy l’ammazzavampiri”, durata ben sette stagioni, in tempi davvero più eroici di quelli odierni. Con il calare degli indici d’ascolto, gli episodi venivano messi in onda a tarda notte e bisognava perciò munirsi di videoregistratore o alzarsi in orari da colpevole spuntino notturno.

Nessun fanatismo, dunque, e non credo nemmeno che l’imperversare dello streaming ucciderà il cinema, a me tanto caro. Una grossa fetta dell’incasso di un film arriva ancora dall’uscita nelle sale cinematografiche. Inoltre, la pellicola fatta uscire in streaming è immediatamente preda dei pirati informatici, mentre i file criptati e ad altissima definizione caricati sui server dei proiettori digitali sono del tutto inattaccabili: nemmeno il Diabolik riportato in auge dai fratelli Manetti riuscirebbe a esportarli.

Un patinato saluto.

Stan