Shein Strikes Back

Mia cara Berenice,

conosci le mie umili origini, perciò non ti stupirà troppo che io sia ossessionato da un argomento plebeo come Shein.

Dopo le polemiche che l’hanno investito e il ripudio da parte di alcuni influencer, il marchio d’abbigliamento cinese non arretra, anzi apre un pop up store a Milano.

Pop up store. Presumo sia qualcosa di simile ai gazebo che spuntano a Termini sotto Natale, dove serissime commesse ti vendono i panettoni artigianali di rinomati chef.

Pop up store. Come quando, in un videogioco di strategia, clicchi sul terreno e questo erutta un grattacielo, un centro commerciale, una fila di cavalli di Frisia o un nido di mitragliatrici, completo di serventi.

Pop up store. Il virtuale che incontra il reale, il metaverso che colonizza l’universo fisico.

Una sorta di offensiva del Tet. Come se un bel mattino il Presidente degli Stati Uniti, affacciandosi dalla finestra della Casa Bianca, si fosse trovato davanti un intero cupo Palazzo del Popolo o del Comitato Centrale, in puro stile brutalista, pavesato di bandiere rosse, una gigantografia di Lenin che lo scruta severa dalla facciata, guardia d’onore in colbacco.

Guerrilla marketing dei più audaci. Sarà interessante misurare la reazione delle reti sociali e della folla di carne. Chi si presenterà sulla soglia improvvisa e improvvisata del negozio? Manifestanti e picchetti armati di cartelli o ragazzine bramose di lustrini a poco prezzo per il veglione di San Silvestro al Vattelapesca Club?

Un impaziente saluto.

Stan