Mia cara Berenice,
ci sono le universitarie dei film americani (“coed” in slang), impegnate a tempo pieno nelle feste delle confraternite (“frat party”), che dormono indossando solo la felpa dell’Ateneo.
All’estremo opposto c’è l’italica studentessa stagista curricolare magistralmente parodiata da Caterina Guzzanti: abiti sformati, sciarpa lunga fino ai piedi e mente in un universo parallelo. Il pregiudizio della futilità degli studi universitari, del resto, è diffuso e si amplifica quando la matricola è di sesso femminile. “Studentessa universitaria, triste e solitaria / Nella tua stanzetta umida / Ripassi bene la lezione di filosofia / E la mattina sei già china sulla scrivania / E la sera ti ritrovi a fissare il soffitto / I soldi per pagare l’affitto / Te li manda papà”: così la canzone “Studentessa universitaria” di Simone Cristicchi. Non casualmente, il brano termina con la giovane accademica che resta incinta e trova, finalmente, il suo posto nel mondo: “La vita non è dentro un libro di filosofia / E la sera ti ritrovi a pensare il futuro / E ti sembra più vicina / La tua serenità!”
Altro pregiudizio duro a morire è quello della studentessa che supera facilmente gli esami, col massimo dei voti, solo grazie alla sua avvenenza. Una di queste femme fatale era addirittura il personaggio del fumetto di un’agenda universitaria di marca, Bea si chiamava. In una vignetta, la secchiona – ovviamente grassoccia e occhialuta – si lamentava con il professore, ovviamente barbuto. “Bea ha preso trenta e lode senza aprire bocca!” “Appunto,” replicava grave il docente, “conoscere i propri limiti è segno di maturità intellettuale”. Su YouTube, un canale molto seguito mostra, in un video con quasi quattro milioni di visualizzazioni, una ragazza sedersi davanti al professore in top e short e venire gratificata con un: “Esposizione perfetta. Lascia qua il libretto che ora il mio assistente metterà il trenta e lode”.
La studentessa universitaria che ho visto io oggi al parco, riconoscibile per aver telefonato all’amica per sapere se ci fosse “posto in biblio”, non aveva nulla della femme fatale o dell’inetta, come dev’essere; di sformato aveva solo il cappellino. Per il resto, maglietta a righe, pantaloni e un cagnone bianco con la bazza sporca – così mi è parso – di fango.
Bau!
Stan