Ufficio virtuale

Mia cara Berenice,

si avvicina il 31 dicembre e, con esso, le scadenze contabili.

Sono giorni convulsi e il racconto allegato nasce nella nebbia del dormiveglia, nell’acquerugiola umida di un autobus dell’ATAC, dal baluginare del ricordo informe di una notizia letta sul display del cellulare.

Un ronfante saluto.

Stan

UFFICIO VIRTUALE

Tarchiato e rosso come un gambero, il Direttore Generale entrò nell’ampio ufficio presidenziale, all’ultimo piano, e si chiuse la porta alle spalle, indicando l’uscio imbottito con il pollice spesso e tozzo al di sopra della spalla.

“È la famosa consulente,” chiese, “quella seduta in lista d’attesa? Caruccia!”

“Sssh!” Sibilò il Capo del Personale, raggomitolato su una delle poltrone del salottino, terreo in volto.

Il Direttore Generale si portò comicamente la mano grossa come un badile alla bocca.

“Oh, scusate!” Esclamò. “Non si può più dire? Per quanto non si potrà più dire? Ho detto caruccia, mica…”

“Per un po’ di tempo, bisognerà stare particolarmente attenti, John,” sospirò il Presidente, sottile, diafano e cesellato quanto il suo numero due era compatto e sanguigno.

“Ok, ok,” cedette il Direttore Generale. “Senti, ma è vero che si è presentata qui con il suo biglietto da visita appena la notizia è comparsa sulla stampa?”

“È vero,” confermò il Presidente.

“Cazzo che sciacalla!” Commentò il Direttore Generale, in un tono che mescolava stupore, riprovazione e ammirazione. “Tipo quegli avvocati che vanno a cercarsi i clienti al Pronto Soccorso! Sapete, l’estate scorsa sono caduto in montagna ad Aspen e…”

“Possiamo mantenere la concentrazione, per favore?” Mugolò il Capo del Personale, con la testa tra le mani.

Il Direttore Generale fece un’espressione che voleva dire: se significa far entrare quella sventola, ben volentieri. Il Presidente si alzò dalla scrivania.

“La faccio entrare,” annunciò. “John, vedi di comportarti ammodo”.

“Cristo, Aron. Non sono nato ieri,” protestò il Direttore Generale.

Si sentirono ticchettare i tacchi della consulente mentre il Presidente la introduceva galantemente, la presentava ai due colleghi e la faceva accomodare al tavolo delle riunioni, con la segretaria del Presidente a zampettarle dietro.

“Possiamo offrirle qualcosa?” Chiese il Presidente, sedendosi. “Caffè, acqua, qualcos’altro?”

“Avete acqua filtrata?” Chiese la consulente.

Sul tavolo calò un silenzio imbarazzato. Il Presidente guardò Iris, la segretaria.

“In… in che senso, signora?” Balbettò Iris.

“Non importa,” sorrise soavemente la consulente. “Rimedieremo”.

I tre uomini presenti e la stessa Iris si scambiarono qualche sguardo in tralice. Cosa intendeva, con “rimedieremo”? Aveva lasciato cadere quella parola come se fosse una sentenza o una mannaia. Per il momento, peraltro, nessuno le aveva conferito alcun…

“Un’immagine green è fondamentale al giorno d’oggi,” riprese la consulente, con il suo sorriso sfavillante. “Io mi occupo esclusivamente di non discriminazione e parità, ma la mia agenzia ha un ufficio specializzato specificamente nel greening”.

“Uhm…” Borbottò il Presidente, nei limiti di quanto i suoi modi aristocratici gli permettevano di borbottare. “Per il momento, starei sulle urgenze più pressanti”. A quelle parole, Iris scomparve come nebbia.

“Certo!” Assentì la consulente. “Ditemi esattamente cosa è successo, in ordine cronologico e senza omettere alcun dettaglio. Registrerò con il cellulare, se non vi dispiace”.

Il Presidente strabuzzò gli occhi, nei limiti di quanto i suoi modi aristocratici gli permettevano di strabuzzarli.

“Mi pareva di avere inteso,” zufolò, “che lei avesse già appreso i fatti dalla stampa”.

“Non mi fido della stampa. Voglio sentirli da voi”.

“Mi sembra giusto!” Concesse il Direttore Generale.

“Dunque,” esordì il Capo del Personale, tremolando con un budino e sudando visibilmente, “a partire da marzo di quest’anno, la nostra società si è dotata, come quasi tutte ormai, di assistenti virtuali: dodici assistenti virtuali, per la precisione, tutte rappresentate da avatar femminili”.

“Ma questo non è colpa nostra,” fece notare il Presidente, “è stata la società informatica a fornirle con quegli avatar”.

“Tutti avatar femminili… e tutti caucasici?” Chiese la consulente.

Il Capo del Personale deglutì e ammise: “Tutti caucasici”.

“Pare che anche questi abbiano bisogno di una mia consulenza,” sorrise la consulente.

“Durante un’ispezione virtuale a sorpresa dell’Agenzia delle Entrate, è saltato fuori che… tutte le assistenti virtuali, lavoravano… in topless”.

“E come è stato possibile?”

“A quanto pare, sarebbe stata un’iniziativa goliardica… di cui non voglio in alcun modo sminuire la gravità, dei nostri informatici interni. A quanto pare, le assistenti erano state… spogliate poche settimane dopo la loro… entrata in servizio”.

“E nessuno se ne era mai accorto?”

“Il nostro spazio aziendale virtuale non è aperto al pubblico, tranne una specifica area in cui riceviamo i clienti. All’interno di quell’area, le assistenti apparivano vestite. Erano nude solo negli spazi interni”.

“E solo per la bassa forza,” si affrettò a precisare il Presidente. “A tutta la dirigenza apparivano vestite”. In realtà, lui e il Direttore Generale erano piuttosto digiuni di informatica e utilizzavano rarissimamente lo spazio virtuale, di cui si erano dotati solo dopo tutta la concorrenza e obtorto collo. La loro era un’azienda vecchio stampo che produceva ancora beni fisici, senza contare la questione della sicurezza informatica: le loro componenti di meccanica di precisione erano tutte brevettate e preziosissime.

“Be’, allora effettivamente non era così facile accorgersene,” riconobbe la consulente.

“La società informatica avrebbe dovuto!” Intervenne energicamente il Direttore Generale. “Stiamo pensando di farle causa”.

“È una buona iniziativa,” lo lodò la consulente, “ma non basta. I responsabili dovranno essere puniti”.

“I procedimenti disciplinari sono stati avviati, ma non ci saranno licenziamenti”.

“Non sono necessari licenziamenti, infatti. Un rimprovero scritto e un corso di formazione per tutti: possiamo erogarlo noi”.

“Corso di formazione su cosa? Sicurezza informatica?”

“No, consapevolezza della parità di genere. Il contratto con la società informatica andrà immediatamente risolto e dovrà subentrare un nuovo fornitore, con certificazione ISO sulle politiche di parità di genere; come prima cosa, questo nuovo fornitore effettuerà una due diligence completa sui vostri sistemi informatici, garantendo che nulla del genere possa più accadere. Poi, naturalmente, scuse pubbliche, donazioni a qualche ONG, le solite cose”.

“Quanto ci costerà questo scherzo?” Chiese il Direttore Generale.

“Meno, molto meno di quanto vi costerebbe non farlo, questo scherzo,” ribatté soave la consulente.

“Già,” si rassegnò il Direttore Generale, “immagino di sì”.

La consulente sorrise.

“John,” sospirò il Presidente, “chiama l’Ufficio Legale e fa’ stendere il contratto”.

La limatura di clausole e prezzario prese l’intera mattinata, al termine della quale il Presidente accennò a invitare la consulente a pranzo, prima di interrompersi bruscamente a metà frase.

“Non si preoccupi,” rise la consulente, prendendolo addirittura sottobraccio, con suo sommo imbarazzo. “Può invitarmi a pranzo. La autorizzo”.

Fu di parola e lasciò che si facesse tutto alla vecchia maniera. Mandò giù una quantità di cibo e vino insospettabile per quel figurino e lasciò che fosse l’azienda a pagare il conto. Dopo il dolce, sembrava perfino leggermente brilla, ma divenne glacialmente sobria subito dopo essere saltata su un taxi. Estrasse dalla borsetta il cellulare, in cui un occhio esperto avrebbe notato qualche dettaglio insolito e, utilizzando un’app ignota ai più, inviò il seguente messaggio: “Missione compiuta, pieno accesso ai dati”.

Shein

Mia cara Berenice,

tu ti servi solo da sarti inclusi nell’Albo dei Fornitori della Casa Imperiale e, di certo, non conosci Shein.

È una casa di moda cinese, nota perfino a me per il suo marketing sulla Rete, così capillare da risultare inquietante e ricordare i mille volti della Stasi. Bizzarramente, oltretutto, il nome inglese Shein può far pensare a una quinta colonna femminile.

Reclutano qualunque influencer, anche di piccolo cabotaggio. In cambio di vestiti gratuiti, ottengono una videorecensione o un prodotto analogo. Lo styling accorto e i prezzi bassi fanno il resto.

In tal modo, Shein sopravvive a periodiche accuse di dumping, violazione dei diritti dei lavoratori, perfino utilizzo di materiali tossici.

Tutto questo mi ha ispirato il racconto che ti allego.

Stan

SHEIN – LA QUINTA COLONNA

“Insiste che non ha fatto nulla,” ribadì il magistrato, allargando le braccia.

“Cazzate!” Tagliò corto il Commissario della Postale. “Abbiamo esaminato i suoi computer e la sua attività in Rete centimetro per centimetro. Potrei ricostruirle ogni singolo istante della sua giornata”.

“Già, me l’ha detto…”

“Oltretutto, è estremamente abitudinaria per una ragazza così giovane. Alle sette e mezza è già al lavoro. Tra le due e le tre pranza. Ordina online, che lavori da casa o in ufficio. Stesso discorso per la cena, mai prima delle dieci. Dopo cena, sessione di rilassamento…”

“Sessione di rilassamento?”

“Con quella app cinese, ce l’ha anche mia figlia… come si chiama…”

“Cloud”.

“Anche lei ha figlie?”

“No. La uso io”.

“Ah…”

“Funziona benissimo. La provi”.

“Uhm… ci penserò…”

“Ok. Quindi usa Cloud prima di andare a dormire, come me”.

“Prima di violare i server del Ministero, intende dire. Lo faceva di notte. Come io mi alzo a mangiare le patatine”.

“Perché, secondo lei? Di buona famiglia, nessuna affiliazione politica, una brillante carriera davanti nell’informatica”.

“Forse voleva semplicemente dimostrare di saperlo fare: molti pirati informatici sono così”.

“Ma perché mandare tutto ai cinesi, allora? Non la pagavano nemmeno…”

“Questo è il vero mistero”.

“Sicuro che non vi siano sfuggiti quei soldi? Dark Web, criptovalute…?”

“Continueremo a cercare”.

“Sì, per favore”.

Il magistrato congedò il Commissario. Quel caso lo tormentava. Lungo la Nazione si dipanava un filo rosso di strani, inspiegabili crimini di Stato commessi da giovani ragazze. Solo la settimana prima una influencer appena maggiorenne, invitata a un esclusivo party di Milano, aveva aggredito l’amministratore delegato di un’azienda di Stato attiva nel settore aerospaziale e della difesa.

Si sentiva nel cranio i tamburi martellanti dell’ossessione. Rischiava di passare la notte in bianco… per fortuna, c’era Cloud. Si infilò gli auricolari, avviò l’app e chiuse gli occhi. Nel giro di pochi minuti il suo corpo si rilassò completamente, si districò come un nodo, si sciolse sulla poltrona. Un quarto d’ora dopo, era un uomo nuovo, con una luce rasserenata negli occhi.

Si stava preoccupando decisamente troppo. Si era lasciato suggestionare da quei rapporti della Postale, pieni di paroloni in inglese. A ben vedere, non c’erano nemmeno gli estremi per detenere quella povera, graziosa ragazza in attesa di giudizio. Andava scarcerata.

Diplomazia e spionaggio

Mia cara Berenice,

fai benissimo a stare alla larga dai balli dell’Ambasciata russa, ora non è aria. Quello zerbinotto di avvocato fiscale quasi certamente esagera e si fa accecare dalla gelosia, ma non è così improbabile che tu finisca fotografata a braccetto di qualche tizio altrettanto indesiderabile dell’FSB, della GRU o dell’SVR.

Gran parte delle Ambasciate e Consolati – non solo russi, bada bene – ospitano qualche soggetto del genere sotto le mentite spoglie di secondo segretario, addetto culturale, etc. In molti casi si tratta di spie semi-ufficiali, ben note al Paese ospitante.

Perché inviarle, dunque? Perché è comodo.

Innanzitutto, non serve una scusa per far loro varcare il confine, il servizio diplomatico o consolare è di per sé un titolo.

In secondo luogo, posso far base all’Ambasciata o in Consolato, dove la forza pubblica non può entrare; tale protezione è estesa alle auto con targa diplomatica. Possono utilizzare le comunicazioni dell’Ambasciata o del Consolato, protette dal diritto internazionale e soprattutto cifrate. Possono far circolare documenti e oggetti nella valigia consolare. Godono di una certa immunità, seppure non più così assoluta. Infatti, se si fanno beccare – o meglio, se il Paese ospitante decide di ufficializzare di averle beccate -, generalmente non vengono perseguite, ma espulse in quanto persone non gradite.

Questa è stata, ad esempio, la sorte di due funzionari dell’Ambasciata russa a Roma, sorpresi a comprare segreti militari da un ufficiale dello Stato Maggiore italiano. Biglietto di ritorno per la Russia per loro, carcere e Tribunale Militare per il capitano della Marina Militare in questione.

Un valzer Belle Époque che, se può apparire ipocrita, contribuisce a civilizzare, normalizzare e burocratizzare lo spionaggio.

Un grato saluto.

Stan