Diplomazia e spionaggio

Mia cara Berenice,

fai benissimo a stare alla larga dai balli dell’Ambasciata russa, ora non è aria. Quello zerbinotto di avvocato fiscale quasi certamente esagera e si fa accecare dalla gelosia, ma non è così improbabile che tu finisca fotografata a braccetto di qualche tizio altrettanto indesiderabile dell’FSB, della GRU o dell’SVR.

Gran parte delle Ambasciate e Consolati – non solo russi, bada bene – ospitano qualche soggetto del genere sotto le mentite spoglie di secondo segretario, addetto culturale, etc. In molti casi si tratta di spie semi-ufficiali, ben note al Paese ospitante.

Perché inviarle, dunque? Perché è comodo.

Innanzitutto, non serve una scusa per far loro varcare il confine, il servizio diplomatico o consolare è di per sé un titolo.

In secondo luogo, posso far base all’Ambasciata o in Consolato, dove la forza pubblica non può entrare; tale protezione è estesa alle auto con targa diplomatica. Possono utilizzare le comunicazioni dell’Ambasciata o del Consolato, protette dal diritto internazionale e soprattutto cifrate. Possono far circolare documenti e oggetti nella valigia consolare. Godono di una certa immunità, seppure non più così assoluta. Infatti, se si fanno beccare – o meglio, se il Paese ospitante decide di ufficializzare di averle beccate -, generalmente non vengono perseguite, ma espulse in quanto persone non gradite.

Questa è stata, ad esempio, la sorte di due funzionari dell’Ambasciata russa a Roma, sorpresi a comprare segreti militari da un ufficiale dello Stato Maggiore italiano. Biglietto di ritorno per la Russia per loro, carcere e Tribunale Militare per il capitano della Marina Militare in questione.

Un valzer Belle Époque che, se può apparire ipocrita, contribuisce a civilizzare, normalizzare e burocratizzare lo spionaggio.

Un grato saluto.

Stan