Inversione termica

Mia cara Berenice,

quando sei bambino, nelle scuole venete ti spiegano che sull’Altopiano del Cansiglio c’è l’inversione termica. L’Agenzia Veneta per il Settore Primario spiega che esso è dovuto a “fenomeni legati alla convezione quando discese di correnti fredde invadono zone più calde. L’aria fredda, più pesante, che scende dai versanti, rimane imprigionata nel fondo valle e mantiene una temperatura più bassa rispetto a quella delle alture circostanti”.

Fanciullesche indelebili nozioni che si ammantano di una luce sinistra mentre, dalla finestra del mio ufficio in pieno centro a Roma, vedo l’acqua scrosciare violentemente, minuscoli chicchi di grandine rimbalzare sulle tegole, fulmini rigare il cielo plumbeo, mentre nel Nord del Paese non cade una goccia d’acqua.

Me lo dicono le telefonate con mio padre, contadino fino al midollo. Lo ripetono i media e gli esperti. Il Ministro dell’Agricoltura ha convocato un Tavolo Tecnico, cui farà seguito una Cabina di Regia. In Piemonte e in Lombardia, alcuni Comuni sono stati costretti a fare ricorso alle autobotti. A inizio mese, l’Autorità di Bacino Distrettuale del Fiume Po parlava di un delta ormai conteso da acqua dolce e acqua marina, con una “intrusione del cuneo salino” fino a quasi venti chilometri a valle, mentre il Lago di Garda risultava pieno solo per un quarto.

Tocca quasi sperare nelle piogge improvvise e violente promesse dal cambiamento climatico… è un’amara boutade, purtroppo, nulla di più… quel tipo di precipitazioni, oltre a poter fare danni immensi, viene mal assorbito dalla terra: la campagna, vecchia signora abitudinaria, ama la pioggia placida, tenue e regolare, possibilmente senza folate di vento a scompaginare rami e tralci. Quando mio padre esprimeva tali auspici, lo prendevo bonariamente in giro: i contadini, gli facevo notare, vorrebbero il tempo al loro comando. Eppure, un poco d’acqua…

Solo un poco d’acqua.

Stan

Roma contro Atlantide

Mia cara Berenice,

mentre la mia ombrelliera con il relativo contenuto sembra ormai un’opera di arte moderna, avulsa da ogni funzione pratica, i ghiacciai si accartocciano come imballi usati da inserire a forza nel cestino della carta e i giornalisti ci aggiornano sulle condizioni del Po camminando direttamente sul letto, non poteva mancare qualche negazionista della siccità e del cambiamento climatico.

Alcuni esibiscono foto e testimonianze di bacini idrici ricolmi, altri notano che il Pianeta è ricoperto di Oceani e che perfino il corpo umano è composto in prevalenza d’acqua.

I più militanti hanno lanciato addirittura il movimento dei rubinetti aperti.

Ora, sarà la necessità di sdrammatizzare, sarà l’overdose mediatica di processo Depp v. Heard, ma non riesco a togliermi dalla testa il racconto breve di seguito.

Sii paziente.

Stan

ROMA CONTRO ATLANTIDE

Anche se lo Stato Maggiore pensava già alle medaglie commemorative e ai nastrini di campagna, nei loro conciliaboli più ristretti o quantomeno a loro stessi i militari ammettevano che era stata una passeggiata o poco più.

Passato l’effetto sorpresa, l’ondata di panico e di isteria, abbattere con le armi moderne dei tizi squamosi che brandivano dei tridenti e, per giunta, risalivano il Tevere in fitta formazione a falange, quasi a offrirsi al tiro al piccione, non era stata la più strenua delle battaglie.

Già anzi qualche civile sentimentale compiangeva gli atlantidei, spinti alla loro folle, ingenua e antiquata invasione dal surriscaldamento del mare. Alcuni Ministri cavalcavano l’onda (si condoni l’espressione) e premevano perché si negoziasse con la Regina Clito, indubbiamente bellissima, eppure visceralmente detestata dall’opinione pubblica. Lo Stato Maggiore, dal canto suo, tentava di stilare protocolli per l’utilizzo di armi non letali, se non altro per prendere qualche prigioniero.

A tal uopo, per il momento, si usavano sistemi meno raffinati. Dopo che l’artiglieria aveva fatto letteralmente a pezzi un’unità atlantidea, la fanteria calava prudentemente sul letto del fiume e rastrellava i cumuli di cadaveri e membra alla ricerca di qualche guerriero ancora vivo. Individuatone uno, si badava a disarmarlo e si facevano intervenire gli NBC con le loro tute da palombari, per il successivo passaggio di consegne al Corpo Sanitario.

Quello dei portantini NBC era un compito ingrato, tra l’indossare gli scafandri con quel caldo, maneggiare l’atlantideo molle e squamoso e sorbirne il puzzo tremendo accentuato dalle ferite.

“Cazzo di schifo…” Si lamentava appunto un caporale dietro la visiera di plastica, trascinando un nobile guerriero particolarmente possente e istoriato di preziosa armatura.

“Ora ci crederai, almeno alla crisi idrica,” lo schernì il più anziano collega maresciallo.

“Ma manco per il cazzo”.

“No?!”

“So’ arrivati i pesci in centro a Roma. Dove la vedi ‘sta crisi idrica?”

“C’hai ragione!” Assentì il maresciallo, dopo una breve riflessione. “Non fa ‘na grinza. Bravo!”

Il caporale borbottò un ringraziamento, ansimando.

Secco

Mia cara Berenice,

sono seduto a una piazzetta di forma trapezoidale, uno scampolo di paesino ricavato al confluire di due arterie romane. Alla mia destra, un donnone catechizza aggressivamente un ragazzo che lo ascolta distrattamente, fumacchiando. Alla mia sinistra, un anziano sonnecchia, le mani posate sulle ginocchia.

Il punto è che il termometro segna 33 gradi, ma si sta benissimo. Un venticello mi soffia in faccia e sotto le ascelle e, in generale, è deliziosamente secco.

Deliziosamente secco, dico… certo, fiumi e bacini idrici si prosciugano, le Autorità preannunciano il razionamento dell’acqua in cento Comuni.

Ricordo la prima vacanza in Puglia, tanti anni fa. L’appuntamento al casello dell’autostrada all’alba. Mio padre in piedi in quella luce grigia che si faceva cambiare l’olio. L’intera Penisola attraversata in auto. L’arrivo nella masseria. Un orizzonte piatto come il mare, color ocra. Muretti a secco e ulivi nodosi. Non una nuvola. Il vento che spazzava la polvere. Per me e mio padre, scesi dal Veneto, era come essere arrivati nel Sahara o su Marte.

Ancora oggi, quando da Roma risalgo in Veneto, mi tuffo con gli occhi nel verde smeraldo dei prati dai finestrini del treno.

Non che la siccità sia sconosciuta, su al Nord. Il polso del Po viene tastato con preoccupazione da anni, da anni si annota il restringimento dei ghiacciai sulle Alpi e ogni estate si porta dietro le ordinanze sindacali che vietano l’irragazione di campi e giardini: provvedimenti pesanti da firmare, in territori in cui l’uva vale oro. Mia nonna si rabbuiava e ricordava certe estati in cui le crepe della terra riarsa inghiottivano i pulcini. Quando qualche temporale estivo rompeva la cappa d’afa, il suolo era troppo esausto anche per abbeverarsi, si formavano torrentelli maligni e l’acquazzone portava più danni che sollievo.

Un raccolto saluto.

Stan