Le mie serie

Mia cara Berenice,

per quanto concerne le serie televisive, vera filigrana della nostra era, io somiglio molto al toro fedele descritto da Hemingway: sono cioè tendenzialmente monogamo.

Il mio primo amore risale ai tempi eroici dell’adolescenza e fu “Buffy l’ammazzavampiri”, con Sarah Michelle Gellar. Parliamo dell’era del videoregistratore, e in casa mia non c’era nemmeno quello. Le ultime stagioni vennero mandate in onda in terza o quarta serata, per cui o me le facevo registrare da qualche amico o mi alzavo di soppiatto in piena notte.

Poi venne “Veronica Mars”, passione fugace, perché il plauso della critica non valse alla seria con Kristen Bell il prolungamento dopo le prime stagioni. Vi recitava anche Charisma Carpenter, la Cordelia di “Buffy”.

È seguito un lungo celibato, oggetto di forti pressioni e riprovazione sociale in piena epoca di Netflix. Mi hanno fatto uscire a cena con “The Office”. Come si suol dire in questi casi, sono stato benissimo, ma non è scoccata la scintilla.

Finalmente, in queste settimane, sto interrompendo l’astinenza con “Inverso” (titolo originale “The Peripheral”), con Chloe Grace Moretz.

Tre attrici bionde e minute… vorrà dire qualcosa?

Un saluto interrogativo.

Stan

Un’altra idea geniale

Mia cara Berenice,

stamattina, a Roma, pioveva. Fortunatamente sto lavorando da casa, perché, secondo la stampa, la città intorno a me è impazzita. Strade allagate, incidenti, traffico in tilt, guasti alla metropolitana. Il maltempo non pareva particolarmente intenso, ma evidentemente era più diffuso del solito sull’ampia superficie cittadina oppure è stata pura e semplice sfortuna.

Ieri splendeva il sole e non posso nemmeno pensare cosa sarebbe successo altrimenti. La mattina, ho raggiunto come al solito Piazza Venezia con la navetta sostitutiva del tram – che, incidentalmente, da poco ha spostato senza preavviso il capolinea dall’Ara Coeli agli Astalli. Ho raggiunto a piedi l’ufficio. Nel primo pomeriggio, ho infilato nello zaino computer di servizio, incartamenti e masserizie varie e sono andato a piedi fino all’Agenzia per i Fondi Europei, tra Porta Pia e Porta Pinciana.

Da lì, dopo un paio di riunioni, un’auto di servizio mi ha riportato a Trastevere al Ministero dell’Università. Infine, smontato finalmente dal servizio, ho fatto la spesa e raggiunto a piedi la stazione per riprendere la navetta verso casa.

Se tutto questo fosse accaduto oggi, mi sarei trascinato sul divano nelle condizioni di un naufrago, se mai ci sarei arrivato.

Ricordi quando, all’apice della pandemia, ebbi l’idea della serie televisiva “Detective COVID”, con Alessandra Mastronardi a scandagliare i focolai epidemici per risalire al paziente zero? Ora sto immaginando “I fantasmi di Roma”, naturalmente sempre interpretata dalla stessa attrice. Il cambiamento climatico scatena su Roma un temporale particolarmente violento, quasi tropicale – sarebbe anche un omaggio a “Siccità” di Paolo Virzì (Italia, 2022). Centinaia di romani e turisti scompaiono nel nulla: forse sono annegati nei sottopassi, forse ancora bloccati in qualche quartiere periferico. Per rispondere all’emergenza, la Questura di Roma crea una speciale squadra investigativa con i migliori agenti dell’Ufficio Persone Scomparse. A quel punto, le indagini sulle sparizioni diventano un pretesto per mettere a nudo – a volte con ironia leggera, a volta con l’amarezza più nera e cruda – i volti nascosti e le contraddizioni dell’Italia. C’è il funzionario della Regione Basilicata in trasferta a Roma che approfitta dell’emergenza per darsi alla macchia e non tornare in ufficio per qualche settimana, facendosi alla fine computare un’indennità di disagio più pesante. C’è il giovanissimo immigrato del Sahel annegato in un tombino dopo essere sfuggito al mare. C’è l’anziana turista inglese che finisce per rifarsi una vita a Montespaccato, e così via.

Che dici? A me sembra un potenziale capolavoro.

Un orgoglioso saluto.

Stan

Le serie televisive

Mia cara Berenice,

sono felicemente rientrato ieri a Roma, un’oasi di caldo e relativa tranquillità pandemica, tutta in fregola per le imminenti elezioni del Presidente della Repubblica.

La mia breve trasferta veneta è stata estremamente piacevole, benché composta e riposta.

Questi periodi di confinamento ufficiale o ufficioso sono gli unici in cui cedo alla generale moda delle serie televisive.

Ordinariamente, le snobbo per una serie – nota il bisticcio – articolata quanto inattaccabile di motivi.

Innanzitutto, la congerie di abbonamenti e piattaforme, defatigante prima ancora che costosa.

Etiam, l’impegno a lungo termine di seguire trame convolute dipanate su più stagioni, paragonabile di questi tempi a un matrimonio, o all’attesa dei proci per la tela di Penelope. Non a caso, ho guardato volentieri “Chernobyl”, appunto in quanto breve.

In Belgio, dopo aver tentato un approccio a “Baby”, ho ripiegato sulla miniserie anime “Girls und Panzer”.

Nel Veneto della peste nera, ho esaurito una stagione e mezza di “The Great”, con Elle Fanning, e sono intenzionato a visionare i cinque episodi rimanenti.

A riprova del fatto che la mia avversione alle serie non è pregiudiziale, sono stato un fanatico di “Buffy l’ammazzavampiri”, durata ben sette stagioni, in tempi davvero più eroici di quelli odierni. Con il calare degli indici d’ascolto, gli episodi venivano messi in onda a tarda notte e bisognava perciò munirsi di videoregistratore o alzarsi in orari da colpevole spuntino notturno.

Nessun fanatismo, dunque, e non credo nemmeno che l’imperversare dello streaming ucciderà il cinema, a me tanto caro. Una grossa fetta dell’incasso di un film arriva ancora dall’uscita nelle sale cinematografiche. Inoltre, la pellicola fatta uscire in streaming è immediatamente preda dei pirati informatici, mentre i file criptati e ad altissima definizione caricati sui server dei proiettori digitali sono del tutto inattaccabili: nemmeno il Diabolik riportato in auge dai fratelli Manetti riuscirebbe a esportarli.

Un patinato saluto.

Stan

Stagioni

Mia cara Berenice,

torniamo a domenica. Ti ho già raccontato di come mi sia imbattuto, al Parco del Cinquantenario, in un funambolo che mi ha scatenato un fantasia felliniana.

Il pomeriggio sono andato a Flagey e il caldo era tale da costringermi a togliere la giacca. Parchi e piazza erano affollate, mentre i borgomastri delle località costiere si appellavano ai cittadini affinché smettessero di riversarsi sulle spiagge. D’altronde, perché raggiungere la riviera quando puoi portare il mare con te? I belgi, da bravi nordici, al sorriso del primo sole rispondevano con la pelle nuda, scoperta da magliette e pantaloncini corti. Molti, sdraiati sulla terra e sull’erba, si abbeveravano avidamente alla luce, immergendosi in quelli che una volta si chiamavano i bagni di sole.

Insomma, nel giro di una manciata di giorni siamo passati da uno scenario innevato alla Fargo a una fantasmagoria felliniana, per approdare infine a uno scenario alla Miami Vice. Ragazze in bikini, poliziotti sui quadricicli, motoscafi che sfrecciano sull’oceano, onde schiumose, torrette di bagnini dallo sgargiante costume rosso, occhiali a specchio, auto scoperte, venditori di paccottiglia, lunghi viali di palme, camicie dalle fantasie variopinte, accenti ispanici.

Un ispettore della Police Fédérale, in abiti borghesi di lino bianco e scarpe basse, che si aggira fra la folla allegra e pigolante dei bagnanti… e poi? Che diavolo faceva, un detective di Miami Vice? Nella prima puntata della prima stagione, i protagonisti sono sulle tracce di un trafficante di droga. Nell’ultima puntata in assoluto, la ventunesima della quinta stagione… be’, di nuovo un trafficante di droga. Il cerchio si chiude. Cinque stagioni, nel 1984 al 1989. L’ultima puntata andata in onda il 25 gennaio 1990.

Credevo che una serie di culto del genere fosse durata di più. “Magnum P.I.” ha retto otto stagioni, ma, in effetti, sembra più l’eccezione che la regola. “The A-Team” cinque stagioni, “Starsky & Hutch” appena quattro. Probabilmente sono influenzato dal mio fanatismo adolescenziale per “Buffy l’Ammazzavampiri”, sette stagioni. D’altronde, tutti conosciamo “Beautiful” (dal 1987) e “Dallas” (1978-1991, 2012-2014). Una cara amica, molto più giovane di me, ha visto ogni singola puntata di “Un posto al sole” (dal 1996).

Un protratto saluto.

Stan

Filosofia e attrici di Hollywood

Mia cara Berenice,

come ben sai, mi trovo in Belgio, in telelavoro obbligatorio, con il coprifuoco alle dieci di sera e senza TV. Anche il sottoscritto si è pertanto convertito, malgré lui, alle serie.

Ho da poco finito “On Becoming a God in Central Florida”, che ho scelto per due motivi. Il primo è che parla degli infami sistemi di marketing multilivello, sui quali non si è mai abbastanza informati. Il secondo è la protagonista femminile, Kirsten Dunst, di cui sono uno storico ammiratore.

Storico ammiratore di un’attrice veterana: nata nel 1982, la Dunst ha esordito a cinque anni, inanellando pellicole e serie famose come “Intervista col vampiro”, “Jumanji”, “E.R. – Medici in prima linea”, “Il giardino delle vergini suicide” di Sofia Coppola, la trilogia di “Spider-Man” di Sam Raimi, “Se mi lasci ti cancello” (titolo originale “Eternal Sunshine of the Spotless Mind”), “Marie Antoinette” sempre della Coppola, “Melancholia” di Lars von Trier e la serie “Fargo”, con Billy Bob Thornton.

In “On Becoming a God in Central Florida”, secondo me, dimostra qualcosa in più della sua età, ma lo fa in modo maturo, sfrontato e visceralmente eccitante. Avrei voluto pertanto scriverti che Kirsten Dunst sconfigge e travalica perfino Aristotele e il suo principio di non contraddizione, secondo cui “è impossibile che il medesimo attributo, nel medesimo tempo, appartenga e non appartenga al medesimo oggetto e sotto il medesimo riguardo”, in quanto al tempo stesso è bellissima e non è bellissima.

Solo che tu non avresti gradito. In prima battuta, mi avresti risposto che non devo permettermi di giudicare una donna e tantomeno un’attrice perché, secondo me, dimostra qualche anno in più. In secondo battuta, avresti visionato qualche minuto della serie e mi avresti notificato che no, l’attrice protagonista non porta affatto male i suoi anni. Magari avresti avuto pure ragione. Quindi, non se ne è fatto nulla.

Poi, però, ho cominciato a guardare “WandaVision”, con Elisabeth Olsen e Paul Bettany. Le prima due puntate mi sono sembrate orrende. Tuttavia, essendoci la Olsen, ne ho infilato un altro paio e la situazione è decisamente migliorata. Quindi, se la Dunst mi ha ricordato il liceo, il Prof. G. e il principio di non contraddizione, la Olsen mi ha richiamato alle virtù teologali e cardinali, ormai completamente trascurate da preti e catechisti: fede, speranza, carità, prudenza, giustizia, fortezza, temperanza.

Che dici, con questo mi sono riscattato? Temo di no.

Abbi fede e speranza, sii caritatevole, prudente, giusta, forte e temperante. Diventerò più maturo e politicamente corretto, un giorno.

Un platonico saluto.

Stan