Questo non è un coccodrillo

Mia cara Berenice,

a cavallo di Ferragosto, l’Italia ha perso un celeberrimo e storico divulgatore scientifico; potremmo paragonarlo all’Abate Tanner, il vostro esperto di araldica.

Dal profluvio di elogi ed elegie, ho scoperto che non era laureato, fatte salve le numerose lauree ad honorem conferitegli. Iscritto al Politecnico, privilegiò gli studi al Conservatorio e le improvvisazioni jazz (segno che nessuno è perfetto, nemmeno lui), ma la vera motivazione, secondo un’intervista rilasciata al Giornale, sarebbe stata un’altra, risalente agli anni della scuola: “Non mi hanno mai bocciato, ma non mi interessava. Insegnavano male, in modo noioso, pedante. Credo che la mia vocazione a fare divulgazione sia nata proprio da quel disagio che provavo a lezione”.

La mia storia è diversa da quella di Angela, abissalmente per quanto riguarda i risultati conseguiti, più sottilmente per quanto riguarda il rapporto con la cultura istituzionale e ufficiale.

Iscritto per mia forte volontà e quasi contro il parere familiare al Liceo Classico, divorai con profitto eccellente il Ginnasio, mentre nei tre anni di Liceo vero e proprio fui travolto dall’ondata delle materie scientifiche. Anche su questo bizzarro, viscerale umanesimo italico, che meriterebbe un’apposita e separata riflessione, Angela spende parole preziose: “In Francia, dove hanno studiato anche i miei figli, la sezione più prestigiosa è la C, quella di matematica. Chi va male studia lettere”.

Alla Facoltà di Giurisprudenza – in parte per volontà di riscatto, in parte per autentico amor juris – tornai ai fasti del Ginnasio, anche se fu la larghezza di vedute della Commissione di laurea, che classificò eccezionalmente la mia tesi brevi come sperimentale, ad attribuirmi il massimo dei voti e la distinzione di lode; anche in questo caso, la mia media era stata azzoppata dagli esami di economia e finanze. Dal biennio magistrale, invece, sarei uscito comunque con il massimo punteggio.

Immediatamente dopo la seconda proclamazione, mi venne offerto un posto da assistente, quello che in termini tecnico-burocratici si chiama dottorando di ricerca cultore della materia.

È in questo importante snodo della mia vita che mi identifico pienamente nelle parole del Cavalier Angela.

L’approccio era pesante come il piombo, sovieticamente legnoso, sideralmente lontano del diritto vivente, ossessionato dalle mode accademiche quanto una quattordicenne da quelle sociali e musicali, citazionista all’estremo: per scrivere che il cielo è blu, dovevi dare conto di chiunque si fosse soffermato sulle sfumature dell’aere dai tempi di Ugo Grozio.

Tuttora provo per lo studio teorico una istintiva repulsione che mi fa ritrarre dal dedicarmi seriamente a concorsi ed esami di Stato, mentre rimane incorrotto il mio appetito bulimico per i dossier e casi giuridici concreti in cui mi imbatta per ragioni di lavoro o frequentazioni sociali.

Un saluto scevro da note a piè di pagina.

Stan

Sull’istruzione parentale

Mia cara Berenice,

il movimento antivaccinista italiano, dopo il grafene e le cure domiciliari precoci, ha scoperto un’altra tarte à la crème: l’istruzione parentale, nota nell’anglosfera con il più ecumenico termine “homeschooling”.

Posto che l’istruzione parentale può svolgersi con modalità collettive, starebbero sbocciando lungo la Penisola “scuole” organizzate dalle famiglie, per lo più nei boschi.

La legge lo consente, purché chi organizza questo tipo di istruzione domestica dimostri di avere “la capacità tecnica ed economica” per impartirla; gli studenti, inoltre, devono sottoporsi a un “esame di idoneità per il passaggio alla classe successiva in qualità di candidati esterni presso una scuola statale o paritaria”.

Purtroppo, come spesso accade in Italia, la normativa sul tema è stratificata e non chiarissima. Il potere e dovere di vigilanza è attribuito al Preside della scuola presso cui è iscritto lo studente (ma se non fosse iscritto?) e al Sindaco (in quali rapporti rispetto al Preside?).

Altrove, è previsto che la famiglia o chi ne fa le veci debba presentare una comunicazione annuale al Preside “del territorio di residenza”. Qual è questo territorio? Il Comune? E se nel Comune non ci fossero scuole? E se ce ne fossero più di una?

Non è chiaro, infine, cosa dovrebbero fare il Preside o il Sindaco qualora risulti mancante “la capacità tecnica ed economica” o in caso di mancato superamento dell’esame annuale. Lo studente viene iscritto d’imperio alla scuola pubblica? Deve ripetere l’anno? Può ripeterlo in regime di istruzione parentale?

Sarebbe opportuno, a mio parere, un intervento legislativo o quantomeno ministeriale.

Un saluto.

Stan

Le migliori scuole

Mia cara Berenice,

è stato un fine settimana ricco di cultura, non solo per me.

Io ho visitato la mostra “Ciao maschio” alla Galleria d’Arte Moderna e “I Marmi Torlonia” ai Musei Capitolini.

Venerdì, invece, la collega dell’Ufficio Gare e Contratti mi confidava che qualche liceo di Roma avrebbe aperto le porte ai genitori, in vista della futura iscrizione dei figli.

I licei à la page di Roma sono noti e antichi, il Tasso e il Visconti, entrambi statali ed entrambi ubicati nel centro storico. Se elitismo c’è, dunque, è molto meno pronunciato che nelle preparatory school anglosassoni o nelle European School di Bruxelles, aperte prevalentemente ai rampolli dei funzionari ONU, NATO e UE.

Anche a Treviso, del resto, mi ero fatto l’idea che le scuole d’élite locali fossero, alla fin fine, un affare abbastanza innocuo. Sono due, entrambe a ridosso dello stesso angolo di mura antiche, contigue e rivali: il Liceo Canova, statale, e il Collegio Pio X, vescovile.

Davanti al primo sono passato centinaia di volta, mentre mi dirigevo verso il Palazzo di Giustizia, ai tempi della pratica forense. Ricordo la scritta ammonitrice, in greco antico, sulle mattonelle del marciapiede antistante: “Conosci te stesso”. Non ho mai messo piede all’interno.

Al Collegio sono entrato per diversi convegni e, una volta, in visita al planetario. L’atmosfera che si respirava era una di passata grandezza decaduta, di mura scrostate, di paciosità pastosa da oratorio, di manifesti scoloriti di santi, Papi e pellegrinaggi, di cartelloni vergati al pennarello, di vastità imponente e scricchiolante. Di quei lunghi corridoi calcinati, ostruito e colesteroso cuore pulsante era il planetario, certamente lusso avanguardistico solo qualche decennio prima, meta ancora di gite scolastiche e visite, ma ormai così abissalmente, spietatamente invecchiato: come un salice piangente, perfino nella forma e nei colori slavati.

Metafora, quasi, di una Chiesa di cui sopravvive la leggenda nera di trame e manipolazioni, ma che ormai sembra fatta, almeno in provincia, di seminari vuoti, oratori pacchiani con cartelli scoloriti e preti sempre più anziani e demotivati, intenti a trascinarsi da una Parrocchia all’altra in utilitarie color pomodoro e in maglioni ingrigiti, infeltriti e sformati. Il negativo, più che il Doppelganger, della chiesa de “La scuola cattolica” (Italia, 2021), a cui viene attribuito neanche troppo velatamente lo svezzamento di maschi tossici, omicidi e bestiali, rinvenibili invece – ahimè – a tutte le latitudini.

Un saluto.

Stan

Sull’autonomia scolastica in Italia

Mia cara Berenice,

per l’ennesima volta, le Supreme Magistrature della Repubblica Italiana sono state chiamate a pronunciarsi sull’esposizione del crocifisso nei luoghi pubblici e, in particolare, nelle scuole statali.

Assumendo che la stampa abbia correttamente riportato la pronuncia, la Suprema Corte di Cassazione avrebbe statuito che spetta agli organi della singola scuola decidere se esporre o no il crocifisso.

Sentenza un tantino pilatesca, ma certamente in linea con il principio dell’autonomia scolastica, introdotta con forza dalle Leggi Bassanini sul finire degli anni ’90, nell’alveo di una più ampia riforma improntata alla sussidiarietà orizzontale e verticale.

Ciascuna scuola statale ha personalità giuridica. Non è dunque un ufficio, un’articolazione del Ministero dell’Istruzione, ma un ente pubblico a tutti gli effetti: per giunta, un ente autonomo, esattamente come un Comune.

Ricorda da vicino proprio il Comune la struttura ordinamentale e organizzativa che la legge prevede per le scuole, in cui il Dirigente Scolastico (Preside) fa da contraltare al Sindaco, la Giunta Esecutiva alla Giunta Comunale, il Direttore dei Servizi Generali e Amministrativi (DSGA) al segretario comunale, il Consiglio d’Istituto al Consiglio Comunale, il Corpo Docente e il personale amministrativo, tecnico e ausiliario (ATA) ai funzionari comunali, pubblici impiegati reclutati per concorso e titolari di garanzie di indipendenza.

La differenza più vistosa è che il Preside non è eletto, bensì reclutato con concorso organizzato a livello regionale. L’articolazione del Ministero, infatti, fa perno in larga misura sugli Uffici Scolastici Regionali, esistenti e operanti anche nelle Regioni a Statuto Speciale, con l’eccezione del Trentino Alto Adige.

Come giudicare questa autonomia? Meramente fittizia, dato che le scuole dipendono ampiamente, sotto il profilo del reclutamento e dei finanziamenti, dal Ministero? Anche Comuni e Regioni, peraltro, sono tenuti a selezionare il loro personale con procedure sostanzialmente analoghe a quelle statali, ad applicare contratti collettivi negoziati a livello nazionale e ad assoggettarsi alla giurisdizione di Tribunali Amministrativi Regionali e Tribunali del Lavoro. Quanto all’autonomia impositiva e finanziaria, essa è più nominale che reale.

È l’autonomia scolastica opportuna? Rende le scuole più vicini ai territori che servono? Le mette in sana competizione? Oppure livella verso il basso o, ancora, penalizza gli studenti che si trovano in contesti territoriali sfavorevoli?

Posso solo tracciare col gessetto, su una vecchia lavagna d’ardesia, un enorme punto di domanda.

Arrivederci, maestra Berenice!

Stan

Il quartiere scolastico

Mia cara Berenice,

ieri sera ho presenziato, con due colleghe, all’evento organizzato da una scuola di quartiere a chiusura di un progetto finanziato dal mio Ufficio.

Trovare l’ingresso giusto non è stato facile. Da anni il Ministero, per risparmiare, accorpa le scuole, partorendo idre dai mille plessi. Per giunta, questa sorge all’interno di un isolato di Roma praticamente monopolizzato dall’istruzione pubblica, per via della conversione di un grosso complesso con parco adibito illo tempore a scopi caritatevoli dai Principi Pamphili.

Il percorso obbligato d’ingresso – comune ormai in tempi di pandemia – era stato poeticamente declinato e scandito da studenti che mettevano in scena, a beneficio dell’ospite, brevi scenette basate sui versi di Gianni Rodari.

Rodari, chi era costui? La domanda, da parte tua, è legittima.

Si tratta di un notissimo autore italiano, specializzato in letteratura per l’infanzia e noto soprattutto per le sue poesie e filastrocche, pur avendo prodotto anche abbondante prosa. Stralci delle sue opere li potrai trovare facilmente sulla Rete e ti farai subito un’idea del taglio.

In altri tempi, l’avrei liquidato come una riminiscenza dell’infanzia, una bambinata o una pacchianata; invece, mentre il covid imperversa, è proprio quello che ci vuole. Le declamazioni, come puoi immaginare, sono state accompagnate dalla musica del Maestro Ennio Morricone, anche lui portato via da quest’anno maledetto.

L’evento vero e proprio si svolgeva in un cortile interno della scuola, dove erano stati disposti dei grossi banchi variopinti a mezzaluna. Questi ultimi rappresentano il nuovo standard conforme alle disposizioni sul distanziamento e – ci ha confidato il Corpo Docenti – continueranno a svolgere tale funzione all’aperto finché il clima lo consentirà. Quanto a ieri sera, ciascuno di essi ospitava agevolmente tre persone che vi posavano spiedini di frutta e assaggi preparati dagli studenti, mentre sul palco andava in scena lo spettacolo, con testi di Rodari e Shakespeare.

Da tutti i lati, incombevano le facciate di quel vero e proprio quartiere scolastico, ed è impossibile non deglutire nervosamente, al pensiero di come i Presidi potranno gestire tutto ciò nel prossimo tormentato, complicatissimo Anno Scolastico.

Speriamo in bene.

Uno scaramantico saluto.

Stan