Fiori di ciliegio

Mia cara Berenice,

secondo un’indagine compiuta dal gruppo assicurativo Axa, l’Italia sarebbe il peggior Paese in Europa per salute e benessere mentale.

Sfatato, dunque, il cliché della Dolce Vita, ancora tanto caro a Hollywood? Sì e no.

Io credo che l’Italia abbia ancora – per clima, paesaggio, gastronomia, relazioni interpersonali e lavorative – il potenziale per essere il paese da cartolina che molti immaginano o avvicinarcisi molto.

Semplicemente, questi fortissimi fattori positivi sono controbilanciati da altri fattori negativi.

Quali?

L’economia e i salari bassi, verrebbe da rispondere subito. Probabilmente. Io aggiungerei anche la scarsa valorizzazione delle professioni intellettuali, alla radice della famosa fuga dei cervelli.

Qualche altro indizio, tuttavia, può venire proprio dal rapporto Axa che, allargando lo sguardo all’orbe terracqueo, certifica esserci un solo altro Paese nelle nostre stesse condizioni: il Giappone.

Come mai il Giappone? Certo, se si vuole, è la patria del suicidio, ma l’economia – di cui si pronostica periodicamente il crollo – continua a reggere, il tasso di criminalità è bassissimo, mastodontiche multinazionali tecnologiche assicurano lavoro qualificato, l’industria culturale non manca di certo.

In comune con l’Italia il Giappone ha solo due cose: il declino demografico e l’estremo conservatorismo. Ritengo sia questo secondo il fattore determinante. Le società chiuse e conservatrici tendono ad avere un cattivo rapporto con il mondo che, per sua natura, si evolve e rinnova. Più specificamente, il lavoro tende a essere poco produttivo, quindi intensivo e defatigante. A causa del permanere di pregiudizi, è maggiore la riluttanza a prendersi cura della propria salute mentale. Il disagio psicologico, a sua volta, esaurisce la mente, la irrigidisce, la rende irritabile come una pustola infiammata, generando nuovo e più radicale conservatorismo.

Un saluto gorgheggiato da un gruppo di idol.

Stan

Il Presidente pazzo

Mia cara Berenice,

come ti accennavo, in queste settimane sto leggendo l’autobiografia di Maria José del Belgio, ultima Regina d’Italia.

In quelle pagine, come potrai immaginare, ci si imbatte in parecchie figure curiose, compresa una di cui, in tutta sincerità, ignoravo l’esistenza: Paul Deschanel, per breve tempo Presidente della Repubblica Francese nel 1920.

La Regina lo conobbe, ancora “semplice” Principessa, alla Corte del Belgio. Deschanel, scrive, si comportò da esagitato, tanto che il Re dei Belgi lo invitò ad “andarsi a riposare”; poco dopo, il Presidente si gettò in camicia da notte da un vagone ferroviario.

Effettivamente, il sito ufficiale della Presidenza della Repubblica Francese attesta che Deschanel, eletto alla massima carica dello Stato il 17 gennaio 1920, mostrò segni di squilibrio mentale già in marzo e si dimise il 21 settembre.

Il suo cursus honorum verso la Presidenza include la Segreteria Privata del Ministro degli Interni, la Segreteria del Presidente del Consiglio dei Ministri, la Sottoprefettura di Brest, la Prefettura di Meaux, la Camera dei Deputati, la Presidenza della Camera, l’Accademia di Francia, l’Accademia delle Scienze Politiche e Morali.

Dopo le dimissioni, fu ricoverato in un sanatorio e, a quanto pare, si riprese completamente, approdando in seguito alla Sottoprefettura di Dreux e al Senato.

Una bella storia che, come le favole per i bambini, ha da insegnarci un paio di verità apparentemente elementari, eppure ancora lontanissime dalla comprensione generale: la prima, che la malattia mentale può colpire chiunque; la seconda, che si può guarire, completamente.

Uno speranzoso saluto.

Stan