La befana vien a frotte

Mia cara Berenice,

anche se la circostanza è relativamente poco nota, Roma ha un rapporto particolare con l’Epifania.

In Piazza Navona si tiene una festa della Befana di antichissima tradizione, benché ultimamente criticata per le concessioni poco trasparenti e la scarsa qualità dell’evento.

In Piazza San Pietro arrivano, con gran pompa, i Re Magi. È avvenuto anche quest’anno, nonostante si fossero appena tenute le esequie di Papa Benedetto XVI.

La città era fittissimamente affollata, tanto da ricordare certe colline venete terrazzate a vigneto, sostituiti ai tralci turisti e locali. I vigili urbani, dispiegati in forze, si sbracciavano e fischiavano disperatamente. In via della Conciliazione hanno improvvisato una roulette russa incuneando un corteo di auto in uno di sbandieratori di ritorno dalla piazza.

Alle spalle di Campo de’ Fiori, i due ottuagenari gestori di un bar in cui il tempo si era fermato vivevano una seconda giovinezza spiattellando sul bancone di metallo lucido caffè, cappuccini e bevande da asporto.

Altrove, un cassiere mi ha rivolto un sorriso riconoscente sentendomi parlare in italiano. Un gesto che mi ha riportato alle vacanze estive della mia infanzia, quando la Riviera Adriatica parlava tedesco.

Code si snodavano di fronte agli esercizi commerciali più improbabili. In Piazza Navona, la bancarella che serviva panini con la porchetta sembrava beneficiare di una nettissima preferenza del pubblico.

Una spazzata.

Stan

Arte contemporanea a Roma

Mia cara Berenice,

a Roma piove ancora, i marciapiede sono incrostati di foglie fradice, il Tevere ha il colore e la consistenza del fango e lambisce gli argini interni, tanto che le scalette sui muraglioni sono state sbarrate con il nastro giallo della polizia municipale. Benedetto nastro giallo della polizia municipale, consolatore degli afflitti, refugium peccatorum. Ovunque a Roma abbraccia e avvolge misericordioso buche, voragini, aree inagibili, bagni pubblici fuori servizio, tronchi d’albero spezzati. Avrebbero dovuto infiocchettarci la Madonna sulla cima dell’obelisco di Piazza di Spagna, anziché appendervi, come al solito per l’Immacolata, un cuscino di fiori.

Lungo i muraglioni striscia e sbuffa, in affanno sotto la pioggia, il serpentone grigio del traffico, procede faticosamente dal centro, attraverso Trastevere, lungo la Gianicolense, preso spietatamente a sassate dai semafori rossi, si inerpica in spire lungo il Gianicolo. Emette stridii e singulti stizzosi. I sospiri sono troppo flebili per essere uditi, si perderanno, nella Los Angeles del 2019, come lacrime nella pioggia.

Attraverso le fessure dei balconi si intravedono le luci accese di una casa. Le finestre sono semiaperte, forse perché chi ci abita vuole godersi il rumore della pioggia e del resto il freddo invernale, a Roma, praticamente non è ancora pervenuto. L’uomo è disteso su un divano, sui tre quarti, e solleva verso il cielo un pugno chiuso. Non è un’opera del Realismo Socialismo, non si tratta di un funzionario della Commissione di Pianificazione che, chino su un mare di dati e progetti, saluta il vittorioso raggiungimento degli obiettivi quinquennali.

È un uomo dei giorni nostri e ha appena superato un livello a Candy Crush.

Un radioso saluto.

Stan

La battaglia dell’Immacolata

Mia cara Berenice,

da tempo immemorabile, a Roma si scontrano potere religioso e potere civile.

Tutti abbiamo visto, in qualche peplum hollywoodiano, i primi cristiani dati in pasto ai leoni, al Colosseo.

Poi furono le insegne imperiali a essere ammainate, mentre sorgeva il potere del Vescovo di Roma che, dalle rovine di templi e palazzi, traeva il titolo di Romano Pontefice.

Come un Imperatore insediato da cortigiani e pretoriani, il Pontefice dovette a sua volta difendersi da aristocratici locali e nuovi Cesari e Augusti.

Messa finalmente in sicurezza Roma, circondata da Stati Pontifici e Legazioni, calarono le Armate francesi, prima rivoluzionarie poi napoleoniche.

La Restaurazione ebbe vita breve e nel 1870, dopo infinite schermaglie, entrarono a Roma le truppe italiane.

Il conflitto tra Stato e Chiesa, tuttavia, non cessò, nemmeno con i Patti Lateranensi del 1929. L’ultimo Concordato è del 1984 e appena l’anno scorso se ne chiedeva la risoluzione, dopo che la Segreteria di Stato aveva presentato all’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede una nota critica sul naufragato Disegno di Legge Zan contro le discriminazioni di genere.

Un’ulteriore battaglia di questa eterna guerra è stata combattuta ieri, festa dell’Immacolata Concezione. A Piazza Venezia, epicentro del potere civile sotto il fascismo, il Sindaco ha acceso l’albero di Natale cittadino. Il pulsante fatidico è stato ovviamente premuto con il buio, ma, per qualche ragione, si era sparsa la notizia che la cerimonia fosse in programma per le sedici. Esattamente l’ora in cui Sua Santità Papa Francesco, nella vicina Piazza di Spagna, rendeva omaggio alla Statua della Vergine, sul pinnacolo dell’obelisco.

Qual è stato il risultato di questo scontro tra Titani? Come sempre, ad andarci di mezzo sono i civili, ritrovatisi in balia di una città paralizzata, con più furgoni della Celere che autobus dell’ATAC, nel pieno delle compere natalizie, oltretutto incentivate dal Comune offrendo mezzi pubblici gratuiti e perfino buoni taxi. Civili ignari, perfino dimentichi, come nel mio caso, di entrambe le cerimonie.

S.O.S. che, mai come in quel caso, significava: salvate le nostre anime.

Can’t you hear me, S.O.S.?

Stan

Canzone sgangherata

Mia cara Berenice,

la presente va letta cantando. Lascio a te la scelta della melodia, ma ti consiglio “Porta Portese” di Claudio Baglioni.

È venerdì mattina e c’è sciopero dell’ATAC.

Prima del solito mi sono alzato e sono qua.

C’è pure la nebbiolina, sembra di stare in Veneto.

L’8 è già arrivato, anche stavolta il sindacato l’ho fregato.

Siamo a due fermate dal capolinea, ma è già stipato.

Dietro ce ne sono altri due, ma la gente non si fida, tutti accalcati sono qua.

A Viale di Trastevere si scorre più del solito, ieri sera l’ambulanza un intero senso di marcia aveva bloccato.

Con l’aiuto d’i ‘un garzone in grembiule, l’autista aveva fatto retromarcia e s’era immesso nella corsia del tram.

Un signore spiega che anche ai suoi tempi si scioperava, ma era tutto diverso; in cosa, non si sa.

Il lavoro agile è regressivo, il nuovo Ministro ha rassicurato, ma la gente non si fida, tutti accalcati sono qua.

Può essere umido e inquinato, ma quando scendi è sempre una boccata d’aria.

Tre scolaresche escono dalla mostra di van Gogh.

Mattinieri, non ho mai capito perché li mandino a scuola così presto.

Eh, perché i genitori devono andare a lavorare.

In via del Corso il marciapiede è un rigagnolo, devi saltellare qua e là.

Poliziotti in borghese e poliziotti in divisa..

Timbri, aspetti l’ascensore e chiedi per favore se puoi entrare, perché l’ha regola del Covid ancora c’è, o almeno ci sta il cartello appeso.

Un saluto zufolato.

Stan

La capitale morale

Mia cara Berenice,

a me e ai miei amici romani piace visitare mostre e anticaglie.

Qualche giorno fa, sulla nostra chat, è stata lanciata la proposta di organizzare una trasferta a Milano per visitare un’esposizione alla Fondazione Prada di cui si dicono grandi cose; in particolare, ci sarebbero spettacolari ricostruzioni, tra cui una del Colosso di Costantino.

Andare a vedere il Colosso di Costantino. Da Roma. A Milano.

Certo, non mi sfugge che città come Milano e Ravenna hanno avuto un ruolo chiave nel Tardo Impero, quando Roma ormai non era più la capitale o lo era solo de jure.

Eppure, questo continuo primeggiare di Milano si va facendo insistente. Hanno appena inaugurato una nuova linea della Metro, quando Roma ne ha solo due e mezza e fatica a trovare i soldi per prolungare la Linea C fino al Colosseo e a Piazza Venezia.

Se Roma ha i Ministeri, le Autorità e il Parastato, Milano ha le multinazionali, gli studi legali internazionali, le società di revisione, i grattacieli scintillanti, Piazza Gae Aulenti.

Roma ha i marmi, Milano ha il design.

Roma ha gli eventi mondani con notabili e cardinali appesantiti, Milano le modelle che schizzano velocissime sulle passerelle.

Milano produce il PIL, Roma lo inghiotte.

A Roma si mangia la carbonara, a Milano il finger food.

A Milano la Borsa, i maggiori club calcistici, Regione Lombardia in Palazzo Lombardia,

A Roma, anzi in Vaticano, il Papa con le Guardie Svizzere e la paccottiglia per turisti, a Milano il Duomo e l’Arcidiocesi, così importante da avere un proprio rito liturgico. A Roma l’Opus Dei, a Milano Comunione e Liberazione.

A Roma l’Italia da cartolina, a Milano quella dei plastici e dei modelli industriali.

Luoghi comuni? Appunto per questo pericolosi.

Sana dicotomia? Può darsi… ma anche Vienna ci provò con Budapest e non finì benissimo…

Un saluto ministeriale.

Stan

Nozioni di borsa e mercati finanziari

Mia cara Berenice,

ormai la finanza influenza le nostre vite, ci piaccia o no.

Qualche mese fa, sono stato convocato in banca, dove mi hanno proposto una serie di investimenti e hanno cercato perfino di farmi credere di essere un grande cliente.

Non vuoi saperne di azioni e strumenti finanziari in genere? Devi comunque tenere d’occhio l’andamento dei titoli di Stato, almeno in Italia, per essere preparato all’eventuale comparsa degli stemmi dell’Unione Europea, del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale sugli schermi dei Bancomat.

Ti faccio qualche altro esempio pratico.

Un venerdì mattina stai dormendo placidamente e gli operai dell’azienda dell’acqua ti suonano campanello e citofono, benché tu avessi lasciato loro la lettura del contatore in bella vista su un post-it: questo si chiama “nervosismo degli operatori”.

Esci di casa, noti una calca insolita alla fermata del tram e ti ricordi di aver letto qualcosa su uno sciopero nazionale: questa è una “tendenza ribassista”.

Attraversi la strada e realizzi che non c’è nessun taxi nella piazzola: siamo arrivati al “mercato orso”.

La discesa assume connotazione letterale e fisica, perché sei costretto a scendere a piedi lungo il Gianicolo, in direzione dell’Ospedale San Camillo e della Stazione di Trastevere, nella speranza di intercettare qualche taxi. “La Borsa è smarrita”.

Arrivi al San Camillo e di taxi non c’è traccia: in questi casi, i cronisti dicono che “serpeggia il panico”.

Passa un autobus non segnalato dall’apposita app, ma è troppo tardi per prenderlo. Ormai sei rassegnato alla malasorte, per cui i mercati “restano piatti”.

Passa un secondo autobus, si ferma al semaforo, riesci a salire: “rimbalzo”.

Non è nemmeno particolarmente pieno, perché ne era appena passato un altro: “impennata”.

A metà percorso, riesci perfino a sederti: “euforia”, in gergo “toro”.

Arrivato in centro, scopri che hanno spostato per l’ennesima volta il capolinea, ma ciò non intacca il tuo buonumore: in questi casi, si dice che “i mercati non si sono fatti impressionare” o “hanno digerito la notizia senza particolari problemi” o ancora che la notizia “non ha portato scossoni”.

Mi chiamo Jordan Belfort.

Stan

Contrasti

Mia cara Berenice,

ieri, festa di Ognissanti, stando alle previsioni meteorologiche, doveva essere l’ultimo giorno di questa lunga e anomala estate – non che oggi sia così diverso, in realtà.

Ho deciso perciò di trascorrere la giornata a Villa Pamphili, equipaggiato di borraccia, telo e soprattutto una monumentale edizione di “Annientare” di Michel Houellebecq.

Il sole era caldo e il parco affollatissimo, ma la terra fredda e umida sotto l’erba. Mi ha ricordato la casa della mia infanzia, a F. Sul lato che dava verso la vallata e lo stradone, era stata ricavata una terrazza di cemento, asfalto e pietrisco che andava ad archiviarsi sotto i rami di un enorme salice piangente. Sotto quella terrazza era celata la cantina. Così io, seduto bocconi, sentivo con i palmi le pietruzze scaldate dal sole e pensavo alla cantina sotto, regno nanesco di mio padre.

Sole caldo, dicevo, ma dal precoce tramonto, foriero di un’escursione termica brusca come lo schiaffo dato con un asciugamano.

Oggi, in ufficio, il chiaroscuro ruota di novanta gradi, passa da verticale a orizzontale. Il mio ufficio, esposto al sole, è così caldo che devo lasciare la finestra aperta tutto il giorno; in quello sul versante opposto del corridoio, il Direttore Generale lavora con il giaccone addosso sulla sedia ergonomica.

In tutto il Dipartimento, noi funzionari di ruolo pestiamo allegramente sulle nostre tastiere, beatamente indifferenti al cambio di Governo in corso – oggi hanno prestato giuramento i Sottosegretari di Stato. Nonostante la nostra inamovibilità, o forse proprio per questa, sobbalziamo a ogni stormir di foglia, raccogliamo voci improbabili di trasferimenti in blocco alle Scuderie del Quirinale, sorvegliamo con cortese sollecitudine i due colleghi improvvisamente comparsi a fare l’inventario delle stanze, ci lanciamo in esegesi complicate per circoscrivere le deleghe di questo o quel Ministro senza portafoglio.

La sera, scendiamo dal biancore pneumatico dei nostri uffici per farci sballottare dalle luci, la calca, le mille lingue, le bandierine colorate delle guide turistiche, i serpenti d’acciaio e lo strombazzare di Roma.

Dopo cena, alcuni di noi si lamenteranno della morte dei quartieri dormitorio, altri del caos e del chiacchiericcio dei locali notturni sotto casa.

Un ingordo saluto.

Stan

Secondo giorno del festival canoro sulla navetta sostitutiva del Tram 8

Mia cara Berenice e cari telespettatori,

siamo giunti alla seconda giornata della kermesse più seguita d’Italia, il festival canoro sulla navetta sostitutiva del Tram 8.

Stamane, il nostro mezzo e palcoscenico preferito aveva appena superato la Stazione di Trastevere, quando alla fermata si è affacciato un vasto gruppo di ragazzini con i loro accompagnatori, in abbigliamento da ghiaione montane completo di bastoni di legno e da trekking, inconsueto su un bus con capolinea in Palazzo Venezia. A incrementare l’effetto della scena contribuiva il loro numero, talmente spropositato rispetto alle dimensioni della navetta da risultare comico, come in una riedizione rovesciata del numero circense dell’uscita dei pagliacci dall’utilitaria.

Dopo l’assalto della prima ondata, qualcuno degli accompagnatori ha impartito un secco ordine in tedesco e il resto è rimasto a terra. Evidentemente temendo che il lasciare indietro parte dell’unità facesse scendere il morale della truppa, a quest’ultima è stata fatta intonare in coro una canzone tedesca. Fortunatamente, non si trattava della Panzerlied, altrimenti il violento e ritmico marcare il tempo con gli stivali avrebbe probabilmente sfondato l’autobus dell’ATAC.

Inoltre, avrebbero potuto esserci conseguenze ulteriori se qualche turista di diversa nazionalità si fosse sentito in dovere di intonare la marcia dei granatieri britannici, la Marsigliese o “Katiuscia”.

Alla fine, sarebbe toccato all’autista imporre una brutale mediazione in stile ATAC, molto più efficace di quello ONU.

Un saluto dalla platea.

Stan

Un’altra idea geniale

Mia cara Berenice,

stamattina, a Roma, pioveva. Fortunatamente sto lavorando da casa, perché, secondo la stampa, la città intorno a me è impazzita. Strade allagate, incidenti, traffico in tilt, guasti alla metropolitana. Il maltempo non pareva particolarmente intenso, ma evidentemente era più diffuso del solito sull’ampia superficie cittadina oppure è stata pura e semplice sfortuna.

Ieri splendeva il sole e non posso nemmeno pensare cosa sarebbe successo altrimenti. La mattina, ho raggiunto come al solito Piazza Venezia con la navetta sostitutiva del tram – che, incidentalmente, da poco ha spostato senza preavviso il capolinea dall’Ara Coeli agli Astalli. Ho raggiunto a piedi l’ufficio. Nel primo pomeriggio, ho infilato nello zaino computer di servizio, incartamenti e masserizie varie e sono andato a piedi fino all’Agenzia per i Fondi Europei, tra Porta Pia e Porta Pinciana.

Da lì, dopo un paio di riunioni, un’auto di servizio mi ha riportato a Trastevere al Ministero dell’Università. Infine, smontato finalmente dal servizio, ho fatto la spesa e raggiunto a piedi la stazione per riprendere la navetta verso casa.

Se tutto questo fosse accaduto oggi, mi sarei trascinato sul divano nelle condizioni di un naufrago, se mai ci sarei arrivato.

Ricordi quando, all’apice della pandemia, ebbi l’idea della serie televisiva “Detective COVID”, con Alessandra Mastronardi a scandagliare i focolai epidemici per risalire al paziente zero? Ora sto immaginando “I fantasmi di Roma”, naturalmente sempre interpretata dalla stessa attrice. Il cambiamento climatico scatena su Roma un temporale particolarmente violento, quasi tropicale – sarebbe anche un omaggio a “Siccità” di Paolo Virzì (Italia, 2022). Centinaia di romani e turisti scompaiono nel nulla: forse sono annegati nei sottopassi, forse ancora bloccati in qualche quartiere periferico. Per rispondere all’emergenza, la Questura di Roma crea una speciale squadra investigativa con i migliori agenti dell’Ufficio Persone Scomparse. A quel punto, le indagini sulle sparizioni diventano un pretesto per mettere a nudo – a volte con ironia leggera, a volta con l’amarezza più nera e cruda – i volti nascosti e le contraddizioni dell’Italia. C’è il funzionario della Regione Basilicata in trasferta a Roma che approfitta dell’emergenza per darsi alla macchia e non tornare in ufficio per qualche settimana, facendosi alla fine computare un’indennità di disagio più pesante. C’è il giovanissimo immigrato del Sahel annegato in un tombino dopo essere sfuggito al mare. C’è l’anziana turista inglese che finisce per rifarsi una vita a Montespaccato, e così via.

Che dici? A me sembra un potenziale capolavoro.

Un orgoglioso saluto.

Stan

Roma segreta e trasgressiva

Mia cara Berenice,

alla luce del sole ancora quasi estivo, Roma può sembrare una paciosa processione paesana di ministeriali con i loro zainetti e le loro borracce, preti con i loro colletti e le loro ventiquattrore di pelle, turisti con la loro variopinta paccottiglia e i loro cappelli di paglia imbandierati… ma non farti ingannare… di notte, di notte, mia Berenice…

Di notte nei sotterranei, nelle cripte, nelle cappelle e nelle catacombe del Vaticano, pipistrelli neri cospirano nell’ombra, evocano Anticristi vecchi e nuovi. Negli alberghi di lusso del centro storico, cardinali, aristocratici e magnati si abbandonano a rituali pagani, trascendentali od orgiastici. Ai piani nobili dei Ministeri silenziosi, presidiati solo da portieri muti e poliziotti in borghese, nelle poche stanze illuminate si tengono riunioni senza carte bollate e senza verbali, dove le vere decisioni vengono prese. Nei vicoli tortuosi e petrosi di Trastevere, la disperata gioventù convenuta da tutto il mondo affoga nell’alcol e nella polvere lo choc della scoperta della vita e della morte che mette fine all’infanzia. Nelle periferie lontane e dimenticate, censurate dalle veline di Questure e Prefetture, si intrecciano e si sciolgono faide sanguinose che vanno a imbrattare, tra le foreste di ombrelloni chiuse, la sabbia del Litorale di Ostia. Tra le rovine romane, nei torrioni medievali risparmiati dai Papi, nei Castelli dei feudatari si aggirano ululando i fantasmi di scrivani giustiziati, giovinette violate, braccianti e plebei a cui venne fatta ingoiare con il ferro arroventato la ribellione.

Infine a Monteverde, nei rari giardini interni, uomini pallidi stendono i panni, dimenticati nel cestello della lavatrice nel fine settimana, mentre i vicini già dormono o spiano dalle fessure dei balconi, ma tacciono.

Un solenne saluto.

Stan