Bletchley Park

Mia cara Berenice,

“The Imitation Game” (USA-GB-Francia, 2014) ci racconta i dilemmi, anche etici, degli esperti di crittografia di Bletchley Park, incaricati dal Governo di Sua Maestà di violare l’inviolabile Enigma, la macchina portatile per la codifica dei messaggi considerata il fiore all’occhiello della tecnologia nazista. Ci riuscirono con l’apporto fondamentale di Alan Turing, creatore di quello che viene talvolta citato come il primo computer. A Turing, il suo Paese non fu riconoscente. Processato e condannato per omosessualità, all’epoca un reato in Gran Bretagna, sottoposto coattivamente a una terapia ormonale, morì suicida negli anni ’50.

Questa lettera, però, ha preso una direzione tragica, quando io volevo solamente parlarti dei miei fallimentari tentativi di decodificare i boati che si alzavano ieri sera da Roma, durante la finale di Europa League tra Siviglia e Roma. Continuavo a sentire urla che mi parevano d’esultanza, maturando la convinzione che la squadra capitolina stesse vincendo per cinque a zero. I primi sospetti li ho avuti quando non ho udito i clacson dei caroselli. In effetti, aveva vinto il Siviglia ai rigori, dopo un pareggio per uno a uno.

Su una cosa, però, ci avevo azzeccato: la partita sembrava non finire mai. In effetti, oggi apprendo dalla stampa sportiva che sarebbe stato addirittura l’incontro più lungo della storia del calcio.

Un fischio.

Stan

La piccola vedetta veneta

Mia cara Berenice,

sono in via del Plebiscito, in attesa del passaggio del Giro d’Italia. Ho trovato un posto perfetto, sulle panchine di pietra nella galleria di Palazzo Venezia. Le transenne, non particolarmente affollate, sono a pochi passi di distanza, alla bisogna posso raggiungerle all’istante. L’arrivo dei ciclisti, del resto, è rumorosamente preannunciato dalle sirene della Polizia Stradale.

Ti avevo anticipato di voler verificare se Roma accogliesse il Giro con lo stesso spirito del Veneto. Naturalmente, è impossibile rispondere fino al passaggio della corsa, ma i primi indizi depongono in senso negativo.

Il Villaggio allestito a Piazza del Popolo stamane era poco frequentato, nonostante l’abbondante distribuzione di gadget gratuiti da parte delle hostess. Anche la Carovana, che è già passata, mi è sembrata sottotono, anche se questo dipende più dall’organizzazione che da Roma.

A ogni modo, il momento della verità si avvicina.

Attendiamo.

Stan

Sante Pollastri il tuo Giro è finito

Mia cara Berenice,

tutte le strade portano a Roma e qui si svolgerà, domenica, l’ultima tappa del Giro d’Italia, lungo un percorso che si snoderà tra EUR, Ostia e Fori Imperiali. Mio padre mi ha chiamato qualche sera fa, invitandomi entusiasticamente ad assistere. Il ciclismo, sua grande passione, è molto sentito al Nord e in particolare in Veneto, a ridosso delle prestigiose tappe alpine sulle Dolomiti. Ricordo ancora quelle nella città dove sono cresciuto, con la gente che esce dai negozi e dagli uffici, in particolare un ottico sfavillante nel suo camice bianco, le braccia conserte, sotto i portici del centro storico. Le polemiche di contorno, affettuose, nient’altro che una versione contemporanea della leggenda popolare: “Almeno, quando passano i ciclisti, rifanno l’asfalto e le aiuole… fanno ogni anno la salita del ristorante Tale, perché il titolare è amico del Governatore… l’elicottero della TV non ha nemmeno ripreso la scritta che avevano fatto gli alpini…”

Spero domenica di essere in città, per esaudire i desiderata di mio padre e per fare un piccolo test. Mi chiedo cioè se l’atmosfera a Roma sia la stessa. Non dico che ci sia disinteresse per il ciclismo, ma certamente il caos in cui la tappa precipiterà la città non disporrà bene gli animi e si presterà a polemiche più sincere. Qui all’Ufficio del Primo Ministro è già stata diramata una circolare di avviso del Mobility Manager con la seguente delicata, eufemistica frase: “Sotto il profilo della viabilità, sono previsti divieti di sosta e chiusure ad ampio raggio”.

Stamane, in ufficio, qualche collega paventava anche il rischio posto ai ciclisti da pavimentazione stradale accidentata e sampietrini del centro storico. Un caro amico, venuto appositamente dall’Inghilterra per correre la Maratona di Roma, disse che il traguardo ai Fori Imperiali gli aveva confermato la capacità di Roma di “farsi perdonare tutto”… ma lui non aveva la bicicletta.

Un curioso saluto.

Stan

Suonatori di strada

Mia cara Berenice,

il sole è appena calato sulla panchina del parco davanti casa, così come sta finendo il libro su Giovanni delle Bande Nere. All’estremità opposta del parco, un sassofonista suona… cosa? Non lo so. Bene? Male? Lo ignoro beatamente. Come sai, ho l’orecchio di una tegola.

Se non altro, questo mi rende di bocca buona e poco incline al melodramma. Al liceo, la preferenza per gli Oasis piuttosto che per i Blur poteva attirarti il più feroce disprezzo intellettuale e umano. Io, ignorando tutto del Brit Pop, beneficiavo di uno status neutrale simile a quello della Svizzera.

Oggi, sulla riva del laghetto dell’EUR, si avvertiva nella mia cerchia una percettibile, diffusa insofferenza per un suonatore il cui repertorio era rigidamente dedicato a Ligabue.

L’occasione mi ha indotto a raccontare ai miei sodali di quella volta in cui, in Piazza di Santa Maria in Trastevere, un esasperato farmacista offrì cinquanta euro a un musicista purché si allontanasse dal suo negozio. Non escludo che la strategia dell’artista fosse ben calcolata, magari aveva come riferimento culturale la pirandelliana patente di jettatore.

Un saluto per due euro.

Stan

San Paolo Fuori le Mura

Mia cara Berenice,

è difficile non apprezzare il colpo d’occhio di Piazza San Pietro, per quanto, a detta di qualcuno, sia stato depotenziato dall’intervento fascista di via della Conciliazione. La Basilica in quanto tale, però, personalmente non mi dice molto: troppo buia, troppo composita, la stessa sensazione che mi dava la Basilica di Sant’Antonio a Padova. Del resto San Pietro, a stretto rigore, non è la chiesa madre della Diocesi di Roma, status riservato a San Giovanni in Laterano.

Ieri, quasi per caso, mi sono ritrovato alla Basilica di San Paolo Fuori le Mura, in cui non mettevo piede da anni. Ai sensi dei Patti Lateranensi, la Basilica ha status extraterritoriale e, pur essendo circondata dalla polizia e dall’esercito italiani, all’interno ha una caserma della Gendarmeria vaticana. Il complesso extraterritoriale è più vasto della chiesa in senso stretto e comprende, inter alia, un monastero, uffici amministrativi e il famoso ospedale pediatrico del Bambino Gesù.

La Basilica è famosa soprattutto per essere percorsa da una lunga teoria di tondi contenenti i ritratti di tutti i Pontefici da San Pietro a quello regnante. Di tondi vuoti ormai non ne sono rimasti molti, il che fornisce un ottimo spunto alla fucina, sempre attiva, di teorie più o meno fantasiose ed esoteriche sulla Chiesa Cattolica. Spesso vengono tirate in ballo le presunte Profezie di San Malachia, secondo cui quello attuale sarebbe l’ultimo Pontefice.

In ogni caso, la Basilica è vasta e alta, spoglia, minimalista, geometrica, mi viene da dire grande come il mondo. Ti fa sentire minuscolo, un granello di sabbia nell’opera di Dio, come appunto dovrebbe fare una chiesa. Sotto l’altare maggiore, un prete suonava l’organo.

Un umile saluto.

Stan

Benedetto casino

Mia cara Berenice,

oggi mi sono svegliato prima del solito, ma non così tanto da poter andare a leggere a Villa Pamphili; mi sono così sistemato nel tavolino del giardino. La giornata era splendida e i bambini dell’asilo e della scuola elementare, dall’altra parte della strada, facevano un gran baccano… fortunatamente.

Qualche sera fa, in Veneto, ero a cena con il lato materno della famiglia. Mia cugina rimpiangeva il confinamento ai tempi della pandemia e anche mio zio ricordò di aver assaporato a fondo, durante una trasferta di lavoro, le piazze romane vuote. Tagliai corto la discussione con quattro semplici parole: “Roma è la caciara”.

Davanti alla scuola e all’asilo c’è un largo di cui non mi è chiaro lo statuto giuridico. Sembrerebbe una via pubblica a tutti gli effetti, ma è chiuso su tre lati da cancelli che, a una certa ora della sera, vengono accostati, ma non chiusi. In tal modo, il largo resta fruibile per partite di calcio e cricket che, spesso, si protraggono fino a notte inoltrata. La cosa scatena lamentele, soprattutto nei mesi più caldi quando si dorme con le finestre aperte; credo sia stata presentata addirittura una petizione in proposito – senza la mia firma, naturalmente. A dimostrazione che la caciara è lo stato naturale di Roma, la scorsa estate nel largo è stata installata addirittura l’ennesima arena estiva, con tanto di potenti casse. Spero che quest’anno replichino e proiettino film particolarmente rumorosi.

Un rauco saluto.

Stan

Roma puttana 2

Mia cara Berenice,

non per la prima volta ti scrivo dal Treno ad Alta Velocità Roma-Udine e, non per la prima volta, su certe peculiari caratteristiche muliebri dell’Urbe.

Stavolta deve essersi offesa per la mia partenza alla vigilia del suo compleanno, tradizionalmente festeggiato il 25 aprile – che la stessa data sia commemorata a Venezia come San Marco, a Roma come Natale e in Italia come Festa della Liberazione la dice lunga su questo Paese.

A ogni modo, dopo giorni insolitamente freddi e piovosi oggi la capitale era pavesata di un sole così caldo e dorato da indurmi a fare un fagotto del giaccone e ficcarlo in valigia. Nel parco davanti casa stavano allestendo il festival dello street food e a Trastevere usciva il nuovo, acclamato film di Nanni Moretti. Se non fossi partito, quasi certamente io e A. avremmo presenziato a entrambi gli eventi.

Sul versante cinematografico, almeno, il rimpianto è un poco attenuato. Non amo le prime gremite e in ogni caso Nanni, come lo chiamiamo affettuosamente, l’ho da poco visto alla serata inaugurale del Festival del Cinema Francese con François Ozon e le deliziose attrici protagoniste del film “Mon crime”, una soirée memorabile. Oggi, mentre l’autobus si faceva faticosamente strada sui sampietrini di Piazza della Repubblica, davanti al multisala stavamo allestendo gli ammennicoli di qualche altra première.

Un hollywoodiano saluto.

Stan

Il Papa in Uganda

Mia cara Berenice,

ancora buona Pasqua.

“Stasera a casa di Alice” (Italia, 1990) racconta la storia dei due contitolari di un’agenzia di viaggi romana specializzata in pellegrinaggi che, distratti dal fascino di una bellissima ragazza bohemien, cominciano a trascurare disastrosamente i loro doveri lavorativi e familiari. Uno dei primi campanelli d’allarme è la disavventura di un gruppo di suore ugandesi, venute appositamente a Roma per vedere il Papa che… si trova in Uganda.

Anch’io, in occasione della più importante festività cristiana, ho l’impressione di inseguire il Pontefice, come Paolo di Tarso prima della conversione. L’anno scorso o due anni fa, io e un caro amico veneto ci ritrovammo bloccati a Roma a causa della pandemia e decidemmo di ricevere almeno la benedizione Urbi et Orbi in Piazza San Pietro, ma precauzioni sanitarie estreme indussero il Papa a non affacciarsi nemmeno dal balcone.

Venerdì, come già ti ho scritto, il Pontefice ha dato forfait all’ultimo minuto alla Via Crucis, tirava un vento freddo ed è da poco stato dimesso dal famoso Policlinico Universitario “Gemelli”.

Oggi, da via della Conciliazione, avevo una visuale davvero perfetta del balcone centrale, ma, con mio stupore, la benedizione Urbi et Orbi non è stata amplificata dagli altoparlanti, pure massicciamente disponibili. Se abbiamo racimolato qualche sillaba beneaugurante, è stato solo grazie alle folate di vento così invise al Papa.

Del resto, ben mi sta. Non vado forse continuamente rimpiangendo i Papi preconciliari, turriti di triregno, assisi sulla sedia gestatoria, lontani come torri eburnee? Giusto qualche sera fa, a casa di amici, abbiamo fatto tintinnare i bicchieri dell’aperitivo godendoci le riprese delle esequie di Papa Pio XII nella severa edizione dell’Istituto Luce.

Uno stentoreo saluto.

Stan

Epifania

Mia cara Berenice,

come quei chierici che, stanchi della teologia e degli arzigogoli dei seminari, si fanno inviare in missione nelle colonie, anche io, chiusa la parentesi mistica pasquale, torno a immergermi nelle strade di Roma.

Lungo via O., una trafficatissima via di negozi rimasta affollata anche durante la pandemia, due gentiluomini hanno fermato le loro auto in piena carreggiata e sono scesi a scambiarsi pesanti insulti per un parcheggio. In nessun momento della tenzone il loro cavalleresco aplomb è stato scosso dalle sollecitazioni dei clacson. Concluso il duello dialettico, a dimostrazione che si trattava di due avventurieri amanti della pugna in quanto tale e non per la preda, sono ripartiti entrambi senza posteggiare affatto.

Poiché peraltro le strade della capitale non conoscono via di mezzo tra il ridicolo e il sublime, si è verificato poco dopo un evento di segno opposto, ma ancora più incredibile.

Come già credo di averti scritto, il servizio del Tram 8 è stato interrotto per sostituire i binari; ciò dall’estate scorsa e nessuno, men che meno l’ATAC o il Comune, può sapere per quanto. A onor del vero, è stato predisposto un servizio di navette davvero eccellente che ha come unico sgradevole effetto collaterale una certa ansia; infatti, avvicinandosi alla fermata, capita talmente spesso di trovare l’autobus in arrivo o già fermo, da essere portati a correre affannosamente.

Ebbene, una graziosissima ragazza bionda si è posizionata a cavallo tra porta dell’autobus e marciapiedi, in modo da trattenere il mezzo e consentirmi di salire, guardandomi e sorridendomi. Davo per scontato che alle mia spalle ci fosse qualche suo amico, ma, salito, ho dovuto constatare di essere solo. Le ho scoccato un ringraziamento a fior di labbra ed ella, ormai seduta, mi ha sorriso di nuovo.

Non dico che tu non sia altrettanto gentile con me; dico solo che, almeno in un’occasione, mi hai dato lo scudiscio sulla guancia.

Un dolorante saluto.

Stan

Salotto romano

Mia cara Berenice,

la stampa fa talvolta riferimento ai salotti romani, ovattate e sontuose stanze in cui uomini d’affari, politici e cardinali veleggiano con flute di champagne e tartine in mano, determinando i destini politici, economici, perfino culturali e antropologici del Paese.

Ebbene, mia cara, non posso negarlo: i salotti romani esistono.

Ieri, per esempio, ero in tram quando, all’altezza di Trastevere, sono saliti una donna e un ragazzo; il ragazzo si trascinava dietro un’enorme poltrona parzialmente imballata, l’ha posizionata al centro del veicolo e vi è sprofondato voluttuosamente, suggendo una voluminosa bottiglia di birra.

A stretto giro, un uomo ha dato di matto contro l’autista che aveva chiuso la porta letteralmente in faccia alla moglie con il passeggino.

Nel frattempo, sulla pista da ballo impazzava il nuovo gioco ridente dei salotti romani, importato dal Nord Europa. Devi sapere che, fino a poco tempo fa, sui mezzi ATAC erano installate due obliteratrici gialle, una in testa e una in coda. Recentemente, quella di testa è stata sostituita con un’analoga macchinetta color vermiglio, la cui funzione è fare il biglietto tramite carta di credito o Bancomat. Ecco dunque il turista salire, frugarsi nei tasconi o nel marsupio, estrarre il biglietto cartaceo stropicciato faticosamente piatito da un’edicola o una tabaccheria e cercare in tutti i modo di obliterarlo alla macchinetta vermiglia. I tentativi proseguono, rigirando il biglietto e passandolo da ogni angolazione, finché qualcuno non gli indica la macchinetta gialla esattamente dalla parte opposta del mezzo, quasi sempre affollato. Non si può negare che si tratti di uno stratagemma ingegnoso e sconcertante. Ricorda i giochi d’acqua con cui a Versailles i Re di Francia in parte intrattenevano, in parte umiliavano l’aristocrazia e gli ospiti.

La prossima volta che scendi a Roma, ti farò salire sul tram alla testa di una pariglia di cavalli lipizzani, a cui far compiere le più eleganti evoluzioni in onore dell’autista e della severa giuria di pungenti signore trasteverine.

Giddap!

Stan