Sul referendum costituzionale tenutosi in Cile

Mia cara Berenice,

a differenza tua, solo oggi leggo la proposta di Costituzione politica della Repubblica del Cile, a cui gli elettori hanno peraltro preferito la più conservatrice Carta vigente.

Dare un giudizio sul testo, articolato in ben 388 articoli e 57 Disposizioni Transitorie, non è facile, ma certamente colpiscono i ripetuti riferimenti ai diritti delle popolazioni indigene fino al plurilinguismo, alla laicità dello Stato e ai diritti di genere.

La bocciatura della proposta, benché prevista dai sondaggi, ha sconcertato molti, perché la costituzione formale e materiale cilena vigente nasce da un compromesso fra le Istituzioni democratiche e le Forze Armate; queste ultime hanno ceduto pacificamente il potere in cambio di garanzie per i loro membri e sull’orientamento politico della Nazione.

Per alcuni, una democrazia mutilata, dimidiata, la cui umiliazione ha raggiunto il culmine nel fallito tentativo di processare l’ex capo della giunta, generale Augusto Pinochet Ugarte.

Al tempo stesso, però, l’ibrido cileno si è rivelato il sistema meglio funzionante – per non dire l’unico funzionante – dell’America Latina, portando stabilità e prosperità economica. Quasi certamente gli elettori cileni, nell’archiviare la proposta con una maggioranza perfino superiore a quella prevista, avevano in mente i disastri portati in altri Stati sudamericani da democrazie ben più libere, rosse, pulsanti e sanguigne – rosse, a scanso di equivoci, non nel senso politico del termine. L’Argentina, crogiolo del peronismo e del populismo che passa da un fallimento sovrano all’altro e ora sta diventando un laboratorio del libertarianismo. Il Brasile, dove al discusso Presidente Luiz Inácio Lula da Silva è succeduto l’imbarazzante Jair Messias Bolsonaro. La Colombia, dove il marxismo-leninismo è stato sventolato come pretesto per una guerra civile alimentata da droga e sequestri di persona, dalla quale si è usciti proprio grazie a un compromesso negoziale per alcuni versi analogo a quello cileno. Il Venezuela, la cui storica prosperità è stata bruscamente interrotta dalla versione bolivariana del socialismo del Comandante Hugo Rafael Chávez Frías.

Insomma, i votanti cileni sembrano aver detto ai delusi progressisti stranieri la stessa frase che un funzionario aeroportuale venezuelano indirizzò in mia presenza ai turisti stranieri, dopo sei ore di ritardo: “Relax, Sir, you are in Latin America!”

Stan

Comunicazione di servizio pubblico sull’imminente referendum

Mia cara Berenice,

non sospettavo che nel tuo Ateneo ci fossero tanti cattedratici di diritto comparato così interessati all’imminente referendum, peraltro quasi totalmente ignorato in Patria – nemo propheta.

A ogni modo, non voglio che tu sfiguri nel rintuzzare le loro avance, perciò di seguito alcune informazioni.

La Costituzione italiana prevede due tipologie di referendum, confermativo e abrogativo.

Il referendum confermativo serve a dare la sanzione popolare a leggi costituzionali o di revisione costituzionale – è stato fatale al Presidente del Consiglio Renzi, che tentò un’ampia riforma della Carta.

Il referendum abrogativo serve ad abrogare, in tutto o in parte, una legge o un atto con forza di legge. La Corte Costituzionale ha stabilito l’ammissibilità del referendum abrogativo cosiddetto “manipolativo”, ossia che abrogando una disposizione finisce con l’introdurre una nuova norma – cosa inevitabile, del resto, nell’ordinamento giuridico.

Vi sono diverse modalità per richiedere il referendum, ma solitamente vi si provvede raccogliendo le firme di cinquecentomila elettori. La validità e ammissibilità della richiesta vengono preventivamente verificate dalla Suprema Corte di Cassazione e dalla Corte Costituzionale. La prima effettua un giudizio prevalentemente di regolarità formale, la seconda di ammissibilità del quesito ai sensi della Costituzione. Quest’ultima prevede espressamente ipotesi di inammissibilità del referendum, ma la Consulta ne ha individuate di ulteriori in via giurisprudenziale.

Appunto sotto la scure della Corte Costituzionale sono caduti, in questo caso, due quesiti referendari, se non sbaglio in materia di diritti civili. Ne sono residuati altri cinque in materia di giustizia.

I primi due mirano a limitare gli effetti che la pendenza del giudizio penale può avere sull’imputato, in termini di custodia cautelare in carcere e di sanzioni sospensive e interdittive. Va precisato, a tal riguardo, che in Italia il processo penale si chiude definitivamente solo quando una sentenza non viene appellata o non è più appellabile. In genere, ciò avviene dopo tre gradi di giudizio: Tribunale, Corte d’Appello e Corte di Cassazione. In pendenza del giudizio, eventuali sentenze di condanna non sono esecutive. A questi quesiti, personalmente, voterò “No”.

Altri tre quesiti mirano a separare le carriere di giudici e Pubblici Ministeri, limitare il peso delle correnti nell’elezione dei membri togati del Consiglio Superiore della Magistratura e allargare ad Avvocatura e Accademia i poteri valutativi sui magistrati. Personalmente, voterò “Sì”.

In ogni caso, quasi certamente il referendum non raggiungerà il quorum necessario per la sua validità, pari alla maggioranza degli aventi diritto al voto, ossia tutti i cittadini elettori della Camera dei Deputati: tendenzialmente, quindi, tutti i cittadini maggiorenni.

La previsione di tale quorum favorisce enormemente chiunque sia contrario all’abrogazione delle norme oggetto di referendum. La legge e il Governo ci mettono del loro, fissando le consultazioni in fine settimana estivi e balneari.

Un saluto.

Stan

Le urne

Mia cara Berenice,

il prossimo fine settimana si vota.

In Veneto per il Governatorato, in tutta Italia per un referendum costituzionale confermativo.

“Volete voi,” verrà chiesto plebiscitariamente agli italiani, “ridurre il numero dei parlamentari?”

Il quesito si riferisce ai membri del Parlamento nazionale, attualmente composto da quasi mille fra deputati e senatori.

Come puoi immaginare, il “sì” è in ampio vantaggio, ma il fronte del “no” sta rimontando, capitanato da giuristi e intellettuali di peso.

No, non ti dico come voterò. Come Bruto, non voglio offendere quegli uomini d’onore.

Molto meno controverse le elezioni nelle Venezie, dove il Governatore uscente riceverà così tanti voti che potrà farsi proclamare Doge o addirittura Imperatore d’Oriente – pare siano bizantine, infatti, le origini della Serenissima.

Non è ancora vacante, invece, la poltrona assisa sul Campidoglio, con i maggiori partiti ancora alla ricerca di un candidato da contrapporre al Sindaco uscente.

Per il Partito Democratico, si fa il nome di Monica Cirinnà, la parlamentare prima firmataria della legge che ha riconosciuto giuridicamente le convivenze more uxorio e le unioni omosessuali.

Fu una dura battaglia che richiese anche i voti di un partitino cattolico.

In Italia non ci si annoia mai.

Un patriottico saluto.

Stan

Conteggi e preventivi

Mia cara Berenice,

“Thirteen Days” (USA, 2000) è il titolo del film con Kevin Costner sulla crisi dei missili di Cuba.

Oggi non siamo più appesi a tredici giorni, ma a quindici, il tempo di incubazione del virus. La Fase 2 è scattata ieri e il quartiere è in festa, sembra il sabato del villaggio: durerà?

Il conto alla rovescia, tuttavia, mi evoca anche ricordi più lieti e meno ansiogeni. La casa di montagna di L., con i listelli di legno alle pareti, il televisore traballante che riceveva solo il primo canale della TV di Stato, qualche generico politico sullo schermo, un urlo ergersi dagli spettatori accoccolati sulle panche: “Ancora quindici giorni!”

Mancavano due settimane alla dichiarazione di indipendenza della Padania, “Repubblica federale indipendente e sovrana” proclamata dal senatore Umberto Bossi il 15 settembre 1996. La nuova Repubblica doveva comprendere il Nord e la parte settentrionale del Centro Italia. Precedenti storici? Forse, con molta approssimazione, il Regno d’Italia napoleonico.

Si insediarono un Parlamento e un Governo Provvisorio. Le Autorità, saggiamente, non presero provvedimenti severi, lasciando che quel fragile fiocco di neve si sciogliesse sull’asfalto sporco. Il segno più tangibile lasciato dall’avventura irredentista fu il concorso di Miss Padania, tenutosi fino al 2012.

Scarse credenziali storiche, dicevo. Un certo secessionismo nordico ha effettivamente impensierito le Autorità, ma si tratta di quello venetista, ispirato al ben più solido retaggio della Serenissima Repubblica di Venezia, per secoli superpotenza militare, commerciale e marittima, per secoli indipendente, per secoli refrattaria a ingerenze della Santa Sede.

Nel 1997, a Venezia, un commando (male) armato dirottò un traghetto comunale diretto al Lido, vi caricò un autoblindo artigianale e sbarcò in Piazza San Marco, occupando manu militari l’omonimo campanile e issando la bandiera della Serenissima dalla cella campanaria. Finì come doveva finire, tutti arrestati dalle forze speciali della polizia, Corte d’Assise per reati come attentato all’unità dello Stato e banda armata, carcere per alcuni.

Nel 2014 nuovi arresti, nuovo blindato artigianale, nuovo piano di occupare Piazza San Marco, nuovo lavoro per i magistrati, nuova filologia penale: associazione con finalità di terrorismo ed eversione dell’ordine democratico, poi derubricato ad associazione sovversiva.

Nello stesso anno, il Consiglio Regionale del Veneto indisse con legge un referendum sull’indipendenza della regione, prevedibilmente bloccato dalla Corte Costituzionale l’anno successivo. All’epoca ero ancora al Governatorato e mi stupii che il Consiglio osasse spingersi fino a quel punto. È vero che, ai sensi della Costituzione, i consiglieri regionali non rispondono dei voti e delle opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni, ma qualche rischio c’era pure. Il Governo avrebbe potuto, in teoria, sciogliere il Consiglio, per non parlare del Governatore e dei membri del Governo regionale.

Ultimamente, di indipendenza non si parla più, nemmeno ora che il Governatore del Veneto, grazie anche alla consulenza di un Ordinario di Microbiologia dell’Università degli Studi di Padova, si è guadagnato fama nazionale e internazionale tenendo in scacco il virus e conseguentemente accelerando le riaperture.

Che dici, avrò fatto male a rifiutare la proposta di tornare al Governatorato per restare nella capitale? Haud credo. Quando la giostra si fermerà, temo che il Veneto non otterrà nemmeno la lucrativa posizione di Regione a Statuto Speciale, di cui già beneficiano le confinanti Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia.

Se mi sbaglio e vedremo risorgere le Serenissima, da ex consulente dell’Ufficio Diplomatico chiederò di entrare nei ruoli del Ministero degli Esteri.

Amica, ti sono schiavo.

Stan