Mia cara Berenice,
non credevo che la mia di ieri, in cui descrivevo le Venezie come un lazzaretto, ti avrebbe suscitato tanta apprensione e inquietudine, soprattutto dopo il vostro recente confinamento.
In realtà, superata l’onda amara della sorpresa, io mi sento piuttosto rassicurato e ottimista, carezzato dalla sensazione che la pandemia sia sempre meno una questione di salute pubblica e sicurezza individuale e sempre più un affare di tamponi, quarantene, isolamenti fiduciari, moduli da riempire, tessere sanitarie da esibire, lunghe file con relativi alterchi, regali di Natale fatti ai farmacisti per ungere le ruote.
In molti qui, compreso il Governatore delle Venezie in persona, ripetono che il virus va “raffreddorizzandosi”, orrendo neologismo paragonabile solo al “coventrizzare” coniato dalla propaganda durante la Seconda Guerra Mondiale.
A me pare più appropriato, non solo linguisticamente, affermare piuttosto che il virus va italianizzandosi. Era giunto dalle steppe dell’Est brutale e baldanzoso, come i barbari nel Basso Impero, e come questi ultimi è stato untuosamente circuito da preti e vescovi, senatori, burocrati imperiali, eunuchi, ingozzato di cibo e vino in ville dell’Etruria, indorato ai raggi del sole, condito col salso del mare. Non ha ancora deposto le armi, ci perderebbe in timore reverenziale, cerimonie, rendite e prebende, ma sempre più terrorizza pro forma, in carta bollata, a scadenze di sette e cinque giorni, soggette a interpretazioni elastiche, cavilli, ricorsi, scostamenti di prassi, a discrezione del Comitato Tecnico Scientifico e del TAR del Lazio.
Un saluto con notifica di sospensiva.
Stan