Mia cara Berenice,
secondo alcune fonti, i consiglieri militari americani starebbero cercando di distogliere l’Ucraina dalla guerra di posizione e logoramento nel Donbass per abbracciare più moderne strategie e tattiche basate sulla mobilità e sulla manovra; a ciò sarebbe stato funzionale l’invio della prima tranche di corazzati, della quale Kiev ha approfittato per strappare infine anche carri armati pesanti.
Qui in Italia, un conflitto di rapide incursioni e raid lo stanno combattendo inverno e primavera. L’altro ieri era freddo. Non estremamente, ma chiaramente, inequivocabilmente e percettibilmente freddo. Ieri, appena alzato dal letto, mi sono accorto dell’aria più tiepida; i prati di Villa Pamphili erano di un intenso e lucente verde e smeraldo, qualche albero già in fiore. Due suore in abito bianco spiccavano, su quel fondale, come sulla pista da ballo della più trasgressiva discoteca.
Seduto a una panchina, leggevo con grande gusto “Il velo dipinto” di Somerset Maugham. Anche lì, nella Cina coloniale, ecco l’eroina alla prese con il gran caldo, foriero di colera. Quanto militari e funzionari inglesi abbiano patito il sole e l’umidità, per reggere le sorti dell’Impero in Asia, lo si evince chiaramente dalla letteratura e dal cinema: basti leggere “La grande pioggia” di Louis Bromfield (americano in visita nell’India Britannica) o guardare “Il palazzo del Viceré” (GB-India-Svezia, 2017).
Al tempo stesso, quei verdi prati evocavano anche l’Irlanda, dove Londra ha combattuto probabilmente le sue guerre coloniali più spietate e sanguinose e dove ancora oggi la pace è fragile e precaria. Curioso come quel mare d’erba color smeraldo l’abbia dipinto meglio di chiunque altro – almeno ai miei occhi – e in pochissimi fotogrammi un regista italiano famoso per le sue ambientazioni ocra americane e messicane: Sergio Leone, negli struggenti flashback del protagonista irlandese di “Giù la testa” (Italia-Spagna, 1971). Curioso come quelle guerre coloniali siano state combattute, per l’Impero, da soldati – per parafrasare, invertendolo, il titolo di un famoso romanzo spionistico – venuti dal caldo, spesso provenienti dall’India, dall’Africa e dal Medio Oriente. Non a caso, la canzone indipendentista “Come Out Ye Black & Tans” ironizza sui loro trascorsi coloniali, a combattere avversari a malapena armati: “Raccontate loro [alle vostre mogli] come l’IRA vi ha fatto scappare a rotta di collo / Dai graziosi verdi sentieri di Killashandra / Venite a raccontarci come avete massacrato in serie dei vecchi arabi / Armati di lance, archi e frecce come gli zulù / Con quanto coraggio ne avete affrontato uno con un pezzo da 16 libbre / E avete spaventato a morte quegli indigeni”.
Un arpeggiato saluto.
Stan