Mia cara Berenice,
sto leggendo gli ultimi capitoli di “Lolita” di Vladimir Nabokov, nella traduzione di Giulia Arborio Mella.
Sono sicuro che tu hai percorso quella strada prima di me e, comunque, la trama appartiene al notorio. Non temo perciò di rievocare, a tuo beneficio, la scena in cui il protagonista incontra la sua ex ninfa, ormai sposata e gravida. Siamo nell’America negli anni ’50 e il bambino in grembo, secondo la voce narrante, “sogna di andare in pensione nel 2020”. Mirabile coincidenza!
Capriccio della sorte che colpisce doppiamente un italiano, visto il feroce dibattito in corso in questo Paese sulle pensioni, praticamente da quando sono nato.
Ai tempi gloriosi della Prima Repubblica, alcuni lavoratori statali riuscirono a farsi mettere in quiescenza dopo meno di sedici anni di servizio: era il simbolo, l’incarnazione di un andazzo i cui nodi vennero, irrimediabilmente, al pettine.
Nel 2011, come ricorderai, l’Italia venne praticamente commissariata dall’Unione Europea, con la nomina a Presidente del Consiglio dell’ex Commissario Europeo alla Concorrenza, Prof. Monti.
Il primo atto ufficiale del nuovo Governo fu varare una drastica riforma delle pensioni, annunciata letteralmente in lacrime dal nuovo Ministro del Lavoro, Prof.ssa Fornero, durante una drammatica conferenza stampa.
Ti racconterò in separata sede le conseguenze, immediate e dirette, che quel provvedimento ebbe sulla mia famiglia.
Del resto io stesso, da studente universitario, vendevo polizze previdenziali e Fondi Individuali Pensionistici, questi ultimi fortemente incentivati fiscalmente. Ora, da lavoratore, sto alimentando due pensioni integrative, alle quali potrei in prospettiva aggiungere un apposito Fondo del Ministero.
Per la verità, sono convinto che, se e quando verrà il mio turno, la pensione nel senso attuale del termine non esisterà più. Prevedo mi verrà servito un cocktail di tempo parziale e telelavoro. Non è detto sia una brutta cosa.
Un acciaccato saluto.
Stan