Le Olimpiadi maledette

Mia cara Berenice,

lodo la tua abnegazione nell’indossare un abito castigato al ballo degli Arneth per non fare ombra a tua cugina Federica Sofia Guglielmina… per quanto, se me la ricordo esattamente, una certa ombreggiatura o sfumatura sarebbe nel suo pieno interesse.

Paragonerei il tuo al sacrificio di Pita Taufatofua, il poliedrico atleta di Tonga che ha rinunciato a comparire come portabandiera alle Olimpiadi Invernali per partecipare invece ai soccorsi alla popolazione della sua isola, colpita da un’eruzione vulcanica.

Da tempo considerato il simbolo di Tonga, che rappresentava anche ai Giochi estivi, Taufatofua sembra diventare anche l’epitome della maledizione incombente sulle Olimpiadi cinesi, funestate da un regime sempre più oscurantista e dittatoriale, crepe sul modello di economia mista e una strategia covid zero sempre più opprimente e costosa in termini di isolamento internazionale.

Una differenza vistosa rispetto ai Giochi di Pechino 2008, vinti trionfalmente dalla Repubblica Popolare con cinquantuno medaglie d’oro contro le trentasei degli Stati Uniti e le ventitré della Russia.

All’epoca, la Cina sembrava ben posizionata per riappropriarsi delle sue tradizioni confuciane e diventare la più grande tecnocrazia della storia dopo l’Antica Roma: un regime antidemocratico ma mite, paternalistico, meritocratico e inclusivo. Evidentemente le tecnocrazie sono, per loro natura, fenomeni rari e di nicchia, circoscritti a poche città-Stato e alla Santa Sede, destinati a degenerare non appena la rispettiva organizzazione acquisisce una significativa dimensione territoriale.

L’Antica Roma, in effetti, perse le sue componenti tecnocratiche molto presto, ben prima della transizione tra Principato e Dominato. Proprio oggi, alla Feltrinelli di Largo Argentina, ho messo le mani su un saggio di Lucio Russo che, in modo del tutto inedito, vede in Roma addirittura un fattore di “tracollo culturale” nel Mediterraneo già nel II secolo a.C.

Ti farò sapere che ne penso. Dopo la maratona di Gibbon, non ho il coraggio di affrontarlo immediatamente, inizierò invece da un reportage di Nico Piro sulla caduta di Kabul.

Un saluto.

Stan