L’andamento del mercato

Mia cara Berenice,

quando si percorre una tratta in treno, si è costretti a orecchiare i discorsi dei compagni di carrozza. Non nego peraltro che possa essere istruttivo.

Ad esempio, ho scoperto con vivo terrore che un barboncino di pura razza costa tremilacinquecento euro. Dei tre cani posseduti dalla mia famiglia, due ci furono regalati; il terzo lo trovò mio padre abbandonato nel bosco.

Ora che ci penso, una delle poche traduzioni commissionatemi quest’anno fuori dal circuito delle agenzie aveva per oggetto o testo sorgente un libro sulla storia dei samoiedi, fieri cani da slitta resi famosi dalle spedizioni polari prima di essere adottati dall’aristocrazia inglese.

Le sorprese non erano finite. La signora alle mie spalle si è lamentata di aver rovesciato l’insalata di farro che si era preparata. Io ero convinto che simili piatti non esistessero nei tinelli domestici, ma solo nei video delle influencer o nei bar del centro.

A questo punto, mi aspetto di tutto. Magari in Calabria scoprirò che la parmigiana di melanzane è passata di moda e i panini da portare in spiaggia si farciscono con il tofu, tra due gallette di riso.

Un preoccupato saluto.

Stan

Monologo di un viaggiatore in treno

Mia cara Berenice,

sono rientrato felicemente a Roma. A dimostrazione di quanto siano limitate le categorie convenzionali del pensiero, non saprei dirti se il viaggio sia stato movimentato o no. Tecnicamente, non c’è stato un solo minuto di ritardo, siamo anzi arrivati in leggero anticipo; potrei aggiungere che la compagnia mi aveva staccato un biglietto di prima classe a un prezzo davvero stracciato.

Al tempo stesso, abbiamo subito comunque le ripercussioni di un deragliamento avvenuto alla Prenestina ben due giorni prima, probabilmente perché i binari sono stati sequestrati in attesa di accertamenti. La fermata di Roma Termini è stata soppressa in favore della Tiburtina, stazione comunque ben collegata, ma meno capiente e dunque sovraffollata in un fine settimana estivo: vi è stato impossibile pranzarvi, come prevedevo di fare invece tranquillamente a Termini.

Insomma, un viaggio è sempre un viaggio, soprattutto con trentacinque gradi.

Da qui il racconto che ti allego.

Stan

MONOLOGO DI UN VIAGGIATORE IN TRENO

“No, degli Italo non sappiamo niente, è proprio un’altra azienda, capisce?”

Certo che capisco, inutile pupattola. Lo so che Italo non è Trenitalia e Trenitalia non è Italo. Posto che mancano meno di dieci minuti alla partenza, che il binario non è ancora comparso sul tabellone e che a Termini ce ne sono almeno una ventina, e infine che gli appositi sportelli di Italo sono oltre i gate, speravo tu ne sapessi comunque qualcosa.

Va bene, aspettiamo la solita estrazione del lotto. La bella ragazza in abito lungo, guardata a vista da un funzionario dei Monopoli e da un finanziere, solleva la palla all’altezza della telecamera, sorride e schiude le labbra: “Diciassette”.

Un grumo di persone istantaneamente rappresosi cola verso l’estremità opposta della banchina, trascinandosi dietro trolley e valigie di ogni colore, foggia e dimensione. Dalla parte opposta, naturalmente, arriva il trenino elettrico dei portabagagli, silenzioso e letale.

Eccoci finalmente al binario, ovviamente il vagone assegnato è letteralmente all’orizzonte, meglio salire in uno di quelli di testa, non voglio rischiare di restare a terra. Potrò così respirare qualche boccata eterea di prima classe, dove una hostess è già intenta a servire calici di vino e bicchieri di succo d’arancia. Il suo carrello blocca il corridoio, quello fino alla carrozza undici sarà un lungo viaggio. Superato l’ostacolo della hostess, la sua silhouette verrà presto sostituita da quelle, ben più voluminose, di passeggeri e turisti intenti a issare le valigie sulle cappelliere, individuare i loro posti assegnati e sistemarsi sui sedili, il tutto con la prontezza di spirito di un mulo alpino e la grazia di un elefante.

Fin da quanto facevo il pendolare sui regionali, ho stabilito che a determinare la qualità di un viaggio è una variabile principale, ossia l’avere o no qualcuno seduto davanti: solo in assenza di quel compagno di sventura, infatti, si potranno stendere le gambe. Naturalmente, gli efficienti algoritmi di Italo hanno assegnato ogni singolo posto a sedere, tanto più in classe Economy. La mia dirimpettaia, lo capisco subito, passerà l’intero viaggio a parlare al telefono. È palese che lo fa solo per non annoiarsi. Appena ha finito una chiamata, scorre la rubrica per individuare la prossima vittima.

Grazie al cielo, scende a Firenze. Magari… no, figuriamoci… ecco arrivare la sostituta… ma quanto è alta? Deve andare al ritiro della nazionale femminile svedese di basket? Sarà un inferno avere queste gambe interminabili premute addosso tutto il temp…

Carina, però. La mascherina le aggiunge in fascino e alone di mistero, oltre a enfatizzare quanto poco sia vestita dal collo in giù.

Sì, vabbe’, ma qui letteralmente non ci sta… “I’m sorry” ‘sto paio di palle. Dovrebbero stabilire dei parametri diversi per questi sedili, la gente non è mica più alta come negli anni ’40.

E ora che fa? Guarda che il tavolino non è mica tutto per te… una cartina geografica di Venezia? Seriamente? Una cartina geografica? Nel 2022? Prima armeggiava disperatamente con il cellulare, forse non le vanno il roaming e il GPS. Certo, pure il biglietto da visita di un albergo… sembra un vecchio noir. E ora che vuole? Sapere come arrivare all’albergo? Lascia perdere, fai finta di non sapere l’inglese. Oddio, si è addirittura abbassata la mascherina, è proprio disperata. Il problema è che dare indicazioni, in inglese o in italiano che sia, attraverso le calli di Venezia è praticamente impossibile. Però posso indicarle la fermata del vaporetto… e dove prenderlo… e dove fare il biglietto. “Never trust gondolieri, do you understand?”

Bene, si è calmata. Superato l’attacco di panico, finalmente ha la buona grazia di presentarsi. Il nome non l’ho capito, non importa. Ho capito che è canadese… extra UE, forse per questo non va il roaming. È in Italia da una settimana e non ha ancora potuto avvisare la madre che è arrivata, sarà preoccupatissima… vuole chiamare dal mio cellulare? E quanto costerà una telefonata fino in Canada? Vabbe’, ora però non stare al telefono mezz’ora… non mi pare stia parlando con la madre, oltretutto…

Treni

Mia cara Berenice,

stamattina, tornando dalla spesa settimanale, mi sono fermato in edicola per acquistare il Sole 24 Ore e il supplemento letterario del lunedì – slittato a martedì per via delle festività pasquali -, dedicato ai vincitori del Premio Strega degli ultimi anni.

Appena infilato sotto il braccio il prestigioso quotidiano di economia dalla caratteristica carta color salmone, per di più rigonfiato dal libro, mi sono immediatamente sentito importante, tanto da passare impettito e impassibile accanto a una pattuglia di carabinieri in giubbotto antiproiettile e mitraglietta a bandoliera, intenti a sorvegliare il rispetto della quarantena.

Sono molti gli oggetti dotati del potere magico di amplificare (boost, si direbbe in inglese) il nostro ego. L’abito elegante, soprattutto se formale. Il computer portatile aperto in treno, meglio se in prima classe (business class), sul tavolinetto o sulle ginocchia. Perché con il cellulare e il tablet per lo più si cincischia, mentre se uno si prende il disturbo di aprire il portatile, magari con tanto di mouse wireless, è evidente a tutti che sta lavorando e, se uno lavora perfino in treno, vuol dire che è davvero impegnato; quest’ultimo assunto resta valido anche se si sta percorrendo una tratta di diverse ore che, a ben vedere, è normale mettere a frutto.

Con il tablet, come dicevo, nulla da fare, ma il cellulare si può convertire allo stesso potere. Basta fare una telefonata, consistente in un lungo monologo scandito a voce alta e stentorea, di solito dai forti accenti melodrammatici.

Il protagonista descrive, con vigorose pennellate dai colori accesi, la sua lotta accanita contro colleghi e dirigenti incompetenti e doppiogiochisti, fidanzati fedifraghi e tossici, amici rivelatisi nemici, estranei che congiurano ai suoi danni per pura e semplice malevolenza e invidia.

Per anni, come ricorderai, ho fatto il pendolare sulla tratta Venezia-Udine-Trieste e ogni giorno assistevo, gratuitamente, a queste rappresentazioni che mi riportavano nel Conte di Montecristo, nel Principe di Machiavelli o in qualche più recente saga sudamericana. Una bella fortuna, dirai tu. La vera fortuna è che il rollio del treno mi spingeva presto nelle braccia di Morfeo.

Come se la capricciosa divinità delle strade ferrate volesse estinguere parte del suo debito nei miei confronti, venivo sempre miracolosamente svegliato all’altezza di C. da un controllore, da un altro passeggero o da un sussulto della carrozza. In tanti anni, solo un paio di volte mi sono ritrovato a S., inconveniente tutto sommato rimediabile.

Questo conferma che c’è della magia negli oggetti; quella dei treni, del resto, è ben nota.

Proprio nella stazione veneziana di Santa Lucia, a tal proposito, non era insolito imbattersi nell’Orient Express in partenza, completo di tutti gli orpelli dei bei tempi: inservienti in alta uniforme, un tappeto steso sul binario, perfino un banco di legno lucido per l’accettazione. Le carrozze, finemente decorate, recano la scritta in metallo sbalzato “Compagnie Internationale des Wagons-Lits” e dai finestrini è ben visibile il lusso démodé degli interni.

Spesso ho almanaccato di informarmi sul prezzo del biglietto, di certo elevato, ma ho sempre desistito: sospetto sia una di quelle idee ottime e sfavillanti sulla carta, terribilmente deludenti una volta messe in pratica. Un articolo che ho letto metteva in guardia appunto su questo rischio, per chi meditasse di prendere la Transiberiana.

Quindi, solo prosaica alta velocità per Vienna, quando si saranno riaperte le frontiere.

Un fischiante saluto.

Stan