Il cagnolo e i levrieri

Mia cara Berenice,

oggi, dopo aver pranzato con i colleghi al Ministero, ho deciso di approfittare della bellissima giornata per salire, more solito, sul Gianicolo, attraversare Villa Pamphili e tornare a casa a piedi. Arrivando da quella parte, subito dopo il Casino Algardi si stende un grande prato, spesso utilizzato per le partire di calcio o di cricket. Oggi vi si erano ritrovati, per caso o per calcolo, i proprietari di tre o quattro levrieri che, lasciati liberi di socializzare, correvano pazzamente in cerchio, lasciando di stucco non tanto per la loro velocità, quanto per la loro resistenza: era un vero moto perpetuo.

A un secondo sguardo più attento, si notava che erano inseguiti da un cagnolo minuscolo e peloso, privo di ogni pedigree.; esso li tallonava affannosamente e guaiva, non riuscendo a tenere il loro passo. C’era un che di eroico nel suo persistere, per giunta accompagnando allo sforzo della corsa quello dell’uggiolare; benché staccato di diverse lunghezze, non si lasciava mai seminare del tutto.

A quei levrieri e quel cagnolo ciascuno darà il significato che ritiene più opportuno. L’Italia che insegue le grandi Potenze, l’Unione Europea che insegue gli Stati Uniti d’Europa, io che inseguo l’approvazione di tua madre.

La vita è appunto un continuo inseguire, ahimè. Da poco ha cambiato l’app contapassi sul mio cellulare, essendosi la precedente espansa fino all’incredibile estensione di tre giga e passa. Quella attuale mi ha immediatamente alzato l’obiettivo giornaliero a settemila passi: nessun problema. Constatato che raggiungo questa soglia fin troppo facilmente, l’ha portata ulteriormente a ottomila.

Qual è l’onomatopea di un guaito?

Stan

Il cane, lo spasimante e l’ombrello

Mia cara Berenice,

ieri, sul cocuzzolo del Gianicolo, seduto a una panchina, leggevo l’ultimo volume della trilogia di Scurati, graditissimo regalo di compleanno, in attesa di calare a Trastevere dove avevo acquistato il biglietto per un film in francese. Il sole, basso e dorato sul grande arco che conduce al parco, faceva pregustare il tramonto.

Mi è passato davanti un cane dalla muscolatura possente e guizzante, di quelli che immagini ritti sulle zampe posteriori a incassare il pizzo o le rate degli usurai, come in quel racconto che ti inviai qualche settimana fa.

Seguendolo pigramente con lo sguardo, ho visto arrivare nella direzione opposta due donne.

“Un regista che devo vedere stasera per un progetto…”

“Un vecchio spasimante?”

“No, ma che dici?!”

“Un vecchio spasimante”.

“Sì…”

Mentre si allontanavano, il mio sguardo è caduto su una panchina attigua dove, qualche giorno prima, avevo dimenticato il mio ombrello viola. Non era più lì, ovviamente. Poco male, qualcun altro lo aveva trovato, strumento della Provvidenza, e ci si era protetto dalla pioggia, mentre io, alla fin fine, ero arrivato a casa all’asciutto; e poi, gli ombrelli sono fatti per essere persi, c’è addirittura un racconto di Achille Campanile sul tema.

Un riposato saluto.

Stan