Mia cara Berenice,
ieri sono stato a un concerto di beneficenza a Centocelle. In una chiesa parrocchiale, davanti all’altare, era stato collocato un pianoforte di inizio ‘900: più antico, celiò il giovane pianista, di alcuni dei brani che vi sarebbero stati suonati. Un microfono posizionato sulla cassa trasmetteva la musica ai finanziatori collegati da remoto: un concerto di beneficenza ibrido.
Eseguito l’ultimo pezzo, il pianista si è alzato, si è inchinato e ha lasciato, per così dire, il palco. Il parroco ha preso la scena e gli ha fatto tributare un ulteriore applauso.
“Nessuno chiede il bis?” Ha mormorato qualcuno tra il pubblico.
Nessun bis. Te Deum laudamus. Non che il ragazzo avesse suonato male – non sarei nemmeno in grado di stabilirlo -, ma il bis automatico e obbligatorio è diventato una piaga, come la mancia obbligatoria negli USA per l’ignaro turista europeo.
Molti anni fa, in Veneto. Altra chiesa, altro concerto. Nessuna beneficenza, un saggio di violino. Tre o quattro ragazze in abito da sera. Suonano. Alla fine, il direttore della scuola (o almeno credo, di certo non era il parroco) si affacciò al leggio.
“Direi di chiedere un bis,” suggerì.
Fu l’epilogo triste di una serata già non esaltante.
Mi avevi accennato, tempo fa, a una codificazione del protocollo che un apposito comitato starebbe svolgendo, lì a Vienna. Sarebbe possibile introdurre il divieto di bis forzoso?
Un riconoscente saluto.
Stan