Il luogo più romantico di Roma

Mia cara Berenice,

non deve affatto stupirti che tua madre non abbia accettato il mio invito a visitare la tomba di Andreotti al Cimitero del Verano. Temeva che, al cospetto di quella lapide augusta, io chiedessi la tua altrettanto marmorea mano, così come fece il Senatore con la moglie Livia.

Quale ragazza, del resto, potrebbe resistere a una proposta di matrimonio in un luogo così romantico, dove le edere avvinghiate alla nuda pietra stringono, in un abbraccio fatale e inestricabile, Eros e Thanatos?

Oh, le enormi tombe di famiglia, imponenti come geometrici mausolei, le sbiadite foto color seppia, gli stemmi gentilizi, i titoli onorifici e i gradi militari, i fiori appassiti dall’odore pungente e doloroso, le tombe comuni degli Ordini religiosi, in cui si disegna una lunga genealogia di preti, frati e monache.

No, in quel crepuscolo, non esiste il rischio di un rifiuto. Semmai, il pericolo è che la fanciulla, colta da troppo profonda e viscerale passione, gli occhi fattisi due tizzoni ardenti e i canini improvvisamente affilati, la giacchetta alla moda riadattata a sudario, si avventi sul pretendente in un mortifero abbraccio, come la Lucy Westenra o le Spose di Dracula di Bram Stoker.

Eppure, anche qui, quale rischio? Quale morte migliore di quella del languore di un bacio sul collo, per poi scivolare dolcemente, esangue e dimentico, nella tomba di un giovane patriota risorgimentale, con l’odore di cordite e di polvere degli Chassepot nelle nari?

L’alba del giorno dopo, il Commissario e un ispettore si affacciano sul rettangolo di terra fresca.

“Come mai la tomba era stata aperta?”

“Ci hanno detto di traslare le salme di tutti i garibaldini sull’Ossario sul Gianicolo, dotto'”.

L’ispettore porge, insaccato in una busta di plastica trasparente, un libretto universitario impastato di fango.

“Studiava Storia alla Sapienza, dottore. Magari sapeva di questa traslazione, e pensava di trovare nella tomba chissà cosa… qualche reperto, magari… magari è entrato di notte senza una pila, facendosi luce solo con il cellulare, e…”

L’ispettore non è stupido, vede benissimo il morso di belva affamata di polpa sul collo del morto, come l’hanno visto il medico legale, e gli agenti della Scientifica, e gli agenti della Polizia e della Municipale intenti a cordonare la zona col nastro giallo.

Recitano per il pubblico, come si fa a Roma.

Perché cose che avvengono al Verano tra il giorno e la notte non si devono sapere, soprattutto alla vigilia delle elezioni comunali.

L’inquadratura si allarga vertiginosamente mostrando il Commissario, l’ispettore e gli agenti affaccendati tra le lapidi.

Ciac, un saluto.

Stan

I cappelli a cilindro

Mia cara Berenice,

oggi è il primo maggio, Festa del Lavoro, quella che un tempo si festeggiava facendo colare tonnellate di acciaio militare sulla Piazza Rossa.

Ieri sera, il terzo canale della TV di Stato – quello che, durante la Prima Repubblica, era riservato al Partito Comunista – ha mandato in onda “Il giovane Karl Marx” (Francia-Germania-Belgio, 2017).

Niente di che, al netto di quell’atmosfera di capitalisti con i cappelli a cilindro e poliziotti in uniforme pittoresca, dediti all’occhiuta sorveglianza ed espulsione di comunisti, socialisti e anarchici dai confini di Regni e Imperi.

Dagherrotipi color seppia che, nei loro contorni nebulosi, chissà perché ci danno l’idea di una mitica età dell’oro, di un passato più semplice e chiaro.

Ti ho già parlato di Giovannino Guareschi. “Don Camillo e i giovani d’oggi” (Rizzoli, Milano, 1969), noto anche come “Don Camillo e don Chichì”, è la quintessenza distillata della nostalgia per le divisioni ideologiche manichee, annacquate da preti postconciliari dalle idee confuse e una sinistra proverbialmente scissa tra comunisti, socialisti, maoisti, etc.

Meglio di me può spiegarlo l’immenso Gian Maria Volonté che, interpretando un dirigente dell’Ufficio Politico che interroga un arrestato in “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” (Italia, 1970), gli urla: “Tu puoi essere marxista, anarchico, situazionista, Mao, Lin Biao, tu puoi leggere il libretto rosso, ma tu puoi fare tutto quello che vuoi!”

Il bisogno di ricondurre al dualismo e alla semplicità può essere totalizzante, tanto da condurre alla violenza. In “Per chi suona la campana”, Ernest Hemingway così descrive un commissario politico francese delle Brigate Internazionali: “Ha la mania di far fucilare tutti… ma non uccide i fascisti come facciamo noi. Uccide tipi strani. Trotzkisti. Deviazionisti. Qualunque razza di bestie strane”.

Anche George Orwell, in “1984”, ci mostra un regime totalitario pseudo-socialista che si vanta ossessivamente di aver sconfitto i capitalisti e non sembra in grado di rappresentarli nella propaganda senza cappello a cilindro.

Insomma, la semplificazione è pericolosa e la nostalgia che ci ispira è quella per un mondo, probabilmente, mai veramente esistito. Nel 1917 Lenin arrivò in Russia su un treno messogli a disposizione dal Kaiser, insieme a considerevoli fondi neri (Andrea Tarquini, “La Rivoluzione comprata”, La Repubblica, 10 dicembre 2007).

Questo significa forse che comincerò a scriverti su WhatsApp, anziché inviarti queste tediose missive?

No.

Buon primo maggio.

Stan