Mia cara Berenice,
del primo discorso di Re Carlo III alla Nazione, dal Salotto Blu di Buckingham Palace, mi ha colpito particolarmente questo passaggio: “Rimangono altresì inalterati il ruolo e i doveri della Monarchia, così come il peculiare rapporto del Sovrano e la particolare responsabilità del medesimo nei confronti della Chiesa d’Inghilterra, quella in cui la mia fede è così profondamente radicata”.
Perché questo riferimento alla Chiesa Anglicana, in un discorso così politicamente corretto e pieno di riferimento al multiculturalismo che, a tratti, sembrava quasi prendere le distanze dalle “convenzioni di tempi passati” in vigore ai tempi dell’ascesa al trono della Regina Elisabetta II, associate addirittura “alle privazioni e agli strascichi della Seconda Guerra Mondiale”?
Carlo III, evidentemente, ha voluto rivolgere al Governo, al Parlamento, alla Chiesa e al popolo un chiaro messaggio rassicurante. Non è un segreto che alcuni lo considerino troppo progressista e troppo attivo su questioni politicamente scottanti. Gli viene attribuita l’intenzione di modificare il titolo di “Defender of the Faith” – per ironia della sorte, concesso al Sovrano britannico dalla Santa Sede – in “Defender of Faith”; azzardando una traduzione, significherebbe passare da “Difensore della fede” a “Difensore delle fedi”. L’opera teatrale “Carlo III”, adattata anche per la BBC, già nel 2014 ritraeva l’attuale Re scatenare una crisi costituzionale con il rifiuto di promulgare una Legge proposta dal Governo e approvata dal Parlamento.
Un altro segnale che Carlo è consapevole di sedere sul trono meno comodamente della madre è la decisione di promuovere immediatamente i popolari Duchi di Cambridge a Principi del Galles, anziché attendere qualche anno come è prassi – contribuendo così anche a esorcizzare il fantasma di Lady Diana Spencer. Sempre lui, secondo la stampa, sarebbe intervenuto per tenere lontana dal capezzale della Regina morente l’impopolare Duchessa del Sussex.
I problemi della Monarchia e della Famiglia Reale in senso stretto vanno poi a intrecciarsi, come è naturale, con quelli della Gran Bretagna.
Innanzitutto la Scozia, in odore di secessione dopo la Brexit.
In caso di dipartita di Edimburgo, la Monarchia potrebbe servire ad attutire lo choc, riesumando l’antica formula secondo cui il Re d’Inghilterra era anche Re di Scozia. Tuttavia, l’effetto domino investirebbe con ogni probabilità anche l’Irlanda del Nord, sulla quale la presa inglese, da sempre tenue, è stata parimenti indebolita dalla Brexit. Non vanno dimenticate poi le Isole Falklands. L’Argentina non ha mai riconosciuto la sovranità britannica sull’arcipelago, ottenendo l’appoggio diplomatico di tutta l’America Latina, e vi si è pubblicamente brindato alla morte della Regina.
Infine, i Reami del Commonwealth, ossia le ex colonie britanniche che ancora riconoscono il monarca britannico come Capo dello Stato, ma sono libere di adottare in ogni momento la forma di Stato repubblicano (o una monarchia autoctona). I primi addii potrebbero esserci nei Caraibi, con la Giamaica e Antigua e Barbuda, ma anche l’Australia ha un movimento repubblicano di un certo peso.
Insomma, Carlo III ha ragione. Come Filippo II di Spagna, arcinemico di Elisabetta I, farebbe bene a recarsi spesso nelle cappelle dei suoi palazzi e pregare.
Un compunto saluto.
Stan