Mia cara,
vista la tua passione per i levrieri e per i cani con pedigree in genere, immagino saprai perfettamente cosa sono i samoiedi, nobilissimi loppidi dai leggendari trascorsi nelle spedizioni polari di Amundsen e di altri esploratori.
Io, da plebeo quale sono, non ho alcun pudore a confessarti che ho appreso della loro esistenza solo di recente, quando un cliente privato mi ha chiesto di tradurre in inglese un libro sulla storia di questa razza e sui palmares da essa conseguiti nelle fiere e concorsi internazionali.
Come dovrebbe fisiologicamente avvenire – e, per vero, solitamente avviene -, l’Autore è stato sollecito nell’accompagnarmi durante la stesura, tanto che di tra di noi si è instaurato un certo rapporto – lui cinefilo e allevatore a pieno titolo, io semplice amatore – e mi ha commissionato anche una postfazione in inglese.
Ho accettato e, pur essendo ancora concentrato sulla traduzione, immagino che parlerò di Krume.
Te lo ricordi Krume, quel botolo nero? Lo vedesti solo in foto, morì poco dopo il mio trasferimento a Roma, ancora giovanissimo.
Il pedigree, Krume, non sapeva nemmeno cosa fosse; se gliene avessero presentato uno, probabilmente, lo avrebbe fatto a pezzi coi denti.
Arrivò a casa nostra appena nato, un pugnetto di pelo in una cesta, portato da alcune amiche di mia sorella per il suo compleanno. I nostri genitori gli notificarono immediatamente il foglio di via. Una delle ragazze, con astuzia da Sherazade: “Va bene, signora. Fatemi il favore di tenerlo solo per stanotte, poi domani mattina passerò a prenderlo”.
Lì era, lì rimase, come l’infelice Duca Leto Atreides in “Dune” (USA-Ungheria-Canada, 2021). Mio padre era già in pensione, lui e Krume divennero inseparabili.
L’estate prima della mia presa di servizio al Ministero, ci accorgemmo che respirava a fatica e lo portammo dal veterinario. Ci parlarono prima vagamente di acqua nei polmoni, poi di un tumore all’apparato gastrointestinale. Ogni volta che telefonavo da Roma, mio padre mi snocciolava qualche pietosa bugia sul suo stato.
Un giorno lo portò sul nostro vigneto, il loro comune rifugio, e Krume scomparve nel nulla. Dove era andato? Ormai faticava a muoversi, si trascinava più che camminare. Mio padre lo cercò per tre giorni, finché l’inserviente di una serra lungo il fiume gli disse di aver effettivamente visto un cane nero. Era riuscito ad allontanarsi di chilometri per morire solo, secondo l’oscura usanza canina.
Ho detto all’allevatore che, se mai mio padre si deciderà finalmente a sostituirlo, lo manderò da lui.
Un guaito.
Stan