Mia cara Berenice,
non so come vadano le cose nella patria del Compromesso Costituzionale, ma, qui in Italia, si parla in modo praticamente ininterrotto dell’assoluta necessità di riforme. Ce lo dicono l’Unione Europea e l’OCSE, ce lo diciamo da soli continuamente.
Invece le riforme si susseguono, e vorticosamente.
Chiunque lavori nella Pubblica Amministrazione sa che il Codice gli Appalti cambia ogni sei mesi.
Nel solo anno in corso:
- si è modificata la Costituzione per ampliare l’elettorato del Senato;
- si è avviato il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – che meriterebbe un triste discorso a parte;
- si è istituita l’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale;
- si è esercitata la facoltà, prevista dalla Convenzione di Montego Bay, di istituite una Zona Economica Esclusiva oltre le acque territoriali;
- si è concesso un assegno temporaneo per i figli minori;
- si è ratificato l’ennesimo Protocollo alla CEDU;
- si è ratificata la Convenzione OIL contro le molestie e le violenze sul lavoro.
Questo tralasciando tutte le misure regionali o non legislative. Ad esempio, dopo anni di blocco delle assunzioni nel pubblico impiego, si stanno bandendo d’urgenza concorsi alluvionali che, per ragioni di speditezza, non prevedono nemmeno la prova orale.
Bada, ti sto parlando, nella generalità dei casi, di provvedimenti sinceri e non gattopardeschi, per nulla finalizzati al “facite ammuina” e al “cambiare tutto per non cambiare nulla”.
In molti casi, la radice del problema sta in una fiducia cieca nel potere della lex, le famosa “gride” del Manzoni, fatte stampare dai Governatori spagnoli “a sterminio dei bravi”. Radice profondissima, che ci riporta ai primi processi per formulas della Roma arcaica, dove il dibattito consisteva nella recita di vere e proprie formule magiche davanti al magistrato-sacerdote: bastava sbagliare, letteralmente, una sillaba per perdere la lite.
In Italia, probabilmente, manca una cultura serie della valutazione ex ante, in itinere ed ex post delle politiche pubbliche (policy), concetto ben più ampio di quello della legge che abbraccia l’iter decisionale, l’adozione della misura e, soprattutto, la sua attuazione.
Eppure anche a livello europeo, dove questa consapevolezza esiste ed è anzi ben codificata, riemerge, sospinta da diverse motivazioni, la fede nell’atto formale o anche solo scritto e ufficiale, benché privo di efficacia giuridica vincolante o perfino di base giuridica (orientamenti, linee guida, libri bianchi e verdi, etc.). La causa è facile da individuare, le Istituzioni europee sono, in gran parte, prive di poteri effettivi e devono pur mostrarsi occupate, in forte ed evidente analogia con le organizzazioni internazionali, grandi produttrici di risoluzioni, rapporti e raccomandazioni.
A loro volta, le Istituzioni internazionali ed europee irradiano una galassia di accademici e lobbisti che, spinta dalla medesima preoccupazione di mostrarsi occupata, attribuisce un’importanza e un’attenzione esagerate a iniziative, campagne e atti di cosiddetto “diritto morbido” (soft law), perpetuando inconsapevolmente la millenaria tradizione di Tizio che, al cospetto del Pontefice Massimo o del Pretore Urbano, toccando con una verga il bene o lo schiavo rivendicato, snocciolava il carmen.
Berenix mea est.
Stan
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