Bandierine

Mia cara Berenice,

splendide notizie, sarò lietissimo di vederti nella bella Bolzano; per le mie ferie non dovrebbero esserci particolari problemi.

Capisco che dovrai recarti al funerale di questo… ex militante indipendentista altoatesino, dopotutto il permesso di espatrio ti è stato concesso dalle Autorità austriache proprio a questo titolo.

Io, se non ti dispiace, preferirei non accompagnarti. Umanamente, non conoscevo il defunto, di cui già non ricordo il nome. Inoltre, temo che l’Ufficio Politico della Questura interpreterebbe male la mia presenza e forse, per una volta, non avrebbe torto.

Non fraintendermi, in un certo senso per l’indipendentismo altoatesino io simpatizzo, tanto da dispiacermi che non abbia finito il lavoro, visto l’esorbitante costo giuridico e finanziario dell’autonomia speciale del Trentino Alto Adige.

È proprio vero che, a volte, gli Stati sono disposti a spendere in modo sproporzionato per piantare una bandiera, come la Francia nei suoi Territori Oltremare.

A volte, come dicevo, il costo non è monetario ma morale. Pagine oscure sono state scritte, e prontamente sepolte nei più segreti archivi di Stato, sulla repressione dell’indipendentismo siciliano, nel dopoguerra. Per tenersi sei Contee in Irlanda del Nord, la Gran Bretagna ha composto un intero poema epico di sangue e – letteralmente – merda, lanciata attraverso gli spioncini dai prigionieri internati senza capi d’accusa, talvolta a bordo di navi da guerra.

Comunque, passando ad argomenti più seri, dove si va a cena a Bolzano? Ti sei documentata?

Un impaziente saluto.

Stan

Nessuno vuole l’Indonesia

Mia cara Berenice,

stamane, l’edizione italiana dell’Huffington Post dedica un articolo al movimento indipendentista della Nuova Guinea.

La nuova Guinea è un’isola del Pacifico, tagliata in due da un confine di Stato lungo il 141° meridiano est. Una simile frontiera non può che avere origini coloniali e, infatti, è un’eredità del XIX secolo, quando l’isola era spartita tra Indie Orientali Olandesi, Nuova Guinea Tedesca e Papuasia Britannica. Oggi, i territori a ovest del confine sono soggetti alla sovranità indonesiana, mentre quelli a est costituiscono lo Stato indipendente della Papua Nuova Guinea.

Come puoi immaginare, il movimento indipendentista si sviluppa sul versante occidentale ed è dunque anti-indonesiano.

Povera Indonesia, così poco amata. Nel 2002, è stata costretta costretta a concedere l’indipendenza a Timor Est, l’ex Timor Portoghese. Negli anni ’70 ha provato ad andarsene Aceh, combattendo accanitamente per decenni. Ora, anche la Nuova Guinea è insofferente.

Viene così accusato di imperialismo un Paese, l’Indonesia appunto, che per il colonialismo ha sofferto così tanto. All’inizio del XIX secolo, venne annessa dai Paesi Bassi che vi installarono un’Amministrazione eccezionalmente dura. Nel 1942 arrivò la “liberazione” da parte del Giappone, in realtà interessato al petrolio dell’arcipelago. Dopo la guerra tornarono gli olandesi e ci volle un durissimo conflitto armato per costringerli ad andarsene nel 1949.

Negli anni ’60 l’Indonesia indipendente perse una guerra combattuta contro il Commonwealth Britannico, dopo che Londra decise di assegnare alla Malesia il ricco Sultanato del Brunei.

Anche nell’indipendenza di Timor ebbero un ruolo notevole l’Australia, ex Potenza coloniale regionale, il Portogallo e perfino la Santa Sede, ben radicata nell’ex dominio lusitano.

Arrivederci, Indonesia.

Stan

Conteggi e preventivi

Mia cara Berenice,

“Thirteen Days” (USA, 2000) è il titolo del film con Kevin Costner sulla crisi dei missili di Cuba.

Oggi non siamo più appesi a tredici giorni, ma a quindici, il tempo di incubazione del virus. La Fase 2 è scattata ieri e il quartiere è in festa, sembra il sabato del villaggio: durerà?

Il conto alla rovescia, tuttavia, mi evoca anche ricordi più lieti e meno ansiogeni. La casa di montagna di L., con i listelli di legno alle pareti, il televisore traballante che riceveva solo il primo canale della TV di Stato, qualche generico politico sullo schermo, un urlo ergersi dagli spettatori accoccolati sulle panche: “Ancora quindici giorni!”

Mancavano due settimane alla dichiarazione di indipendenza della Padania, “Repubblica federale indipendente e sovrana” proclamata dal senatore Umberto Bossi il 15 settembre 1996. La nuova Repubblica doveva comprendere il Nord e la parte settentrionale del Centro Italia. Precedenti storici? Forse, con molta approssimazione, il Regno d’Italia napoleonico.

Si insediarono un Parlamento e un Governo Provvisorio. Le Autorità, saggiamente, non presero provvedimenti severi, lasciando che quel fragile fiocco di neve si sciogliesse sull’asfalto sporco. Il segno più tangibile lasciato dall’avventura irredentista fu il concorso di Miss Padania, tenutosi fino al 2012.

Scarse credenziali storiche, dicevo. Un certo secessionismo nordico ha effettivamente impensierito le Autorità, ma si tratta di quello venetista, ispirato al ben più solido retaggio della Serenissima Repubblica di Venezia, per secoli superpotenza militare, commerciale e marittima, per secoli indipendente, per secoli refrattaria a ingerenze della Santa Sede.

Nel 1997, a Venezia, un commando (male) armato dirottò un traghetto comunale diretto al Lido, vi caricò un autoblindo artigianale e sbarcò in Piazza San Marco, occupando manu militari l’omonimo campanile e issando la bandiera della Serenissima dalla cella campanaria. Finì come doveva finire, tutti arrestati dalle forze speciali della polizia, Corte d’Assise per reati come attentato all’unità dello Stato e banda armata, carcere per alcuni.

Nel 2014 nuovi arresti, nuovo blindato artigianale, nuovo piano di occupare Piazza San Marco, nuovo lavoro per i magistrati, nuova filologia penale: associazione con finalità di terrorismo ed eversione dell’ordine democratico, poi derubricato ad associazione sovversiva.

Nello stesso anno, il Consiglio Regionale del Veneto indisse con legge un referendum sull’indipendenza della regione, prevedibilmente bloccato dalla Corte Costituzionale l’anno successivo. All’epoca ero ancora al Governatorato e mi stupii che il Consiglio osasse spingersi fino a quel punto. È vero che, ai sensi della Costituzione, i consiglieri regionali non rispondono dei voti e delle opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni, ma qualche rischio c’era pure. Il Governo avrebbe potuto, in teoria, sciogliere il Consiglio, per non parlare del Governatore e dei membri del Governo regionale.

Ultimamente, di indipendenza non si parla più, nemmeno ora che il Governatore del Veneto, grazie anche alla consulenza di un Ordinario di Microbiologia dell’Università degli Studi di Padova, si è guadagnato fama nazionale e internazionale tenendo in scacco il virus e conseguentemente accelerando le riaperture.

Che dici, avrò fatto male a rifiutare la proposta di tornare al Governatorato per restare nella capitale? Haud credo. Quando la giostra si fermerà, temo che il Veneto non otterrà nemmeno la lucrativa posizione di Regione a Statuto Speciale, di cui già beneficiano le confinanti Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia.

Se mi sbaglio e vedremo risorgere le Serenissima, da ex consulente dell’Ufficio Diplomatico chiederò di entrare nei ruoli del Ministero degli Esteri.

Amica, ti sono schiavo.

Stan