Firenze

Mia cara Berenice,

il viaggio di ritorno è stato piuttosto traumatico, per motivi che potrò spiegarti solo a voce. Comunque eccomi qui, sano e salvo.

È stato curioso toccare due volte Firenze mentre leggevo “Cronache di poveri amanti” di Vasco Pratolini. Mi ha fatto venire voglia di visitare una città da me sempre colpevolmente trascurata. Vi sono stato una volta sola, in missione per il Ministero, cenammo a un ristorante lungo l’Arno, con vista su Ponte Vecchio… e venimmo accusati di non aver pagato una quota del conto. A Firenze ha sede, per l’appunto, un importante Istituto di Ricerca del Ministero dell’Educazione Nazionale e vi si tiene ogni anno la principale fiera sulla didattica. Il canonico Grand Tour comprensivo degli Uffizi non l’ho mai fatto. Quando sarà, dovremo badare a evitare i mesi più caldi, che mi dicono gettare sulla città una cappa d’afa terribile.

Firenze salì agli onori delle cronache nel decennio scorso, quando partorì il cosiddetto “Giglio Magico”, la squadra composta dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi, dal Ministro delle Riforme Maria Elena Boschi e da altri stretti collaboratori che sembrava destinata a rivoltare l’Italia come un calzino, prima di andare a schiantarsi contro il referendum sulla riscrittura della Carta.

Insieme a Venezia e Roma, Firenze è la città italiana più celebre all’estero, probabilmente quella più strettamente associata al Rinascimento. Queste splendide città-Stato del Settentrione ebbero una parabola per certi versi simili a quella di Roma. Gettarono le basi della loro grandezza nel vigore di una costituzione originale ed eclettica, con elementi oligarchici e democratici. Raggiunsero il massimo del fulgore da monarchie assolute camuffate. Infine, indebolite e semplicemente troppo piccole, caddero in mano straniera.

Tuttavia, Firenze ebbe la sua rivincita durante il Risorgimento, quando il fiorentino venne adottato come lingua nazionale e la città fu capitale d’Italia per sei anni, prima della presa di Roma. Oggi, a Unità ormai compiuta almeno politicamente e giuridicamente, Firenze si erge a simbolo, nel bene e nel male, delle fortissime identità locali italiane, che spiegano perché si ha tanta paura dell’innocuo Disegno di Legge sull’autonomia differenziata.

Un saluto dal campanile.

Stan

Cinema e identità australiana

Mia cara Berenice,

alla domanda su chi sia la più celebre attrice vivente, non pochi risponderebbero Nicole Kidman. Eppure, la signora Kidman non è americana, ma australiana. Non stupisce perciò che, insieme al conterraneo Hugh Jackman, sia stata la protagonista di “Australia” di Baz Luhrmann (GB-Australia-USA, 2008), film che – al netto dello scarso riscontro di pubblico e critica – aspirava a essere una sorta di “Heimat” del Paese della croce del sud.

Stasera, invece, sto vedendo per la prima volta “The Water Diviner” (Australia-USA), di e con Russell Crowe, l’epica di un padre che attraversa i continenti alla ricerca dei tre figli dispersi nella battaglia di Gallipoli, tradizionalmente considerata il crogiolo in cui Australia e Nuova Zelanda sono nate come Stati nazionali.

Insomma, se il cinema è un barometro – e certamente qualche altra pellicola di rilievo mi sfugge -, l’Australia culla e carezza la sua identità, al principio di quello che sembra il suo secolo, tra prosperità economica e ascesa della Cina che l’ha resa la porta per l’Oriente. Non a caso, il Paese è diventato noto per la serrata dei suoi confini, un po’ come l’opulenta Svizzera in Europa, e ha proiettato anche militarmente la sua influenza nel Pacifico, soprattutto nelle ex colonie europee come Timor Est.

Cosa ci aspetta, dunque? Magari l’indizione della Repubblica, l’abbandono della bandiera coloniale? Niente più Governatore Generale a Canberra e Governatori negli Stati?

Dio ce ne scambi e liberi.

Dio salvi la Regina.

Stan