Mediterraneo

Mia cara Berenice,

“Mediterraneo” (Italia, 1991) è forse il miglior film di Salvatores. Ambientato nella zona d’occupazione italiana in Grecia, durante la Seconda Guerra Mondiale, documenta il legame umano che sboccia spontaneamente, naturalmente tra una piccola e isolata unità italiana e la locale popolazione. Una comunanza che risale alla Magna Grecia, all’Antica Roma, alla classicità. Quando ho frequentato le superiori, in Italia c’erano – e immagino ci siano ancora – i Licei Classici in cui si studiava latino e greco antico.

Forse per questo, nonostante il diverso peso delle due economie, quando la Grecia si ritrovò sull’orlo della bancarotta nel 2009, tanti italiani videro in quella caduta drammatica una premonizione del nostro destino nazionale. Ora è passato tanto tempo, oltre un decennio, ma le ferite in Grecia non si sono ancora rimarginate. Certo, l’economia non va male, se ci si limita agli indicatori ufficiali, ma l’impatto dell’austerità resta, potente. L’esito delle recentissime elezioni non è stato decisivo e probabilmente il Paese dovrà tornare subito alle urne.

Su Politico, un articolo dell’anno scorso di Nektaria Stamouli fotografa una situazione non dissimile da quella attuale e, soprattutto, piena di familiari analogie con quella italiana: “…l’inflazione è ai massimi da 29 anni, gli stipendi ancora molto bassi…nonostante le riforme che ha dovuto imporre per gli accordi di salvataggio, Atene non è riuscita a liberarsi di alcuni fra i suoi maggiori problemi strutturali, tra cui la burocrazia enorme, soprattutto in ambito legale, e l’evasione fiscale cronica… la depressione ha lasciato i greci esausti, arrabbiati e disillusi. In quasi mezzo milione sono partiti per il più ricco Nord Europa e pochi sono tornati”. Insomma, secondo uno degli esperti intervistati da Politico, “è troppo presto per dire se il salvataggio è riuscito”.

Troppo presto per dire se l’abbiamo scampata, noi e loro.

Noi e loro.

Stan

Rimetti a noi i nostri debiti

Mia cara Berenice,

non posso che concordare con te, il 2022 non è cominciato esattamente nel migliore dei modi.

D’altronde, qualche buona notizia, inevitabilmente, l’ha pur portata.

La Grecia, ad esempio, ha ripagato con ampio anticipo il debito contratto con il Fondo Monetario Internazionale. Più in generale, secondo BNP Paribas, l’economia ellenica sta uscendo dalla pandemia con maggiore forza e rapidità delle previsioni. Il crac del 2011 non è ancora alle spalle, intendiamoci: fa ancora sentire i suoi effetti, soprattutto in termini di disoccupazione giovanile. Tuttavia, la Grecia sta attraendo forti investimenti stranieri, a cui andranno ad aggiungersi i fondi straordinari stanziati dall’Unione Europea.

In ogni caso, anche qualora si dissentisse – e io lo feci rumorosamente, a suo tempo – dalla direzione che la Troika ha impresso alle politiche economiche greche, il primo passo per cambiarle sarebbe sempre e comunque ripagare il debito. Come dimostra la storia fin dai tempi coloniali, la sovranità dei Paesi fortemente indebitati è solo nominale.

Pertanto, il traguardo raggiunto dalla Grecia resta importante, soprattutto se pensi che il Regno Unito ha estinto solo nel 2006 il debito contratto con Stati Uniti e Canada durante la Seconda Guerra Mondiale. Nel 1956, proprio le sanzioni finanziarie americane furono decisive nel costringere Londra ad abbandonare il Canale di Suez, segnando la fine dell’Impero Britannico.

Certo, con l’austerità non bisogna esagerare. Essa contribuì – ma insieme a ben altri fattori – a portare davanti al plotone di esecuzione Nicolae Ceaușescu, il dittatore comunista della Romania fino a quel momento considerato, quantomeno, non troppo filosovietico.

In ogni caso, come è arrivata la Grecia a tornare con le mani libere?

L’OCSE elenca le seguenti riforme:

  • introduzione della regola del silenzio-assenso nel diritto amministrativo;
  • riforma delle ispezioni amministrative;
  • 773 misure non meglio specificate in favore della concorrenza;
  • completamento del catasto dei terreni e potenziamento della riscossione delle imposte fondiarie;
  • adozione di una strategia nazionale per la formazione continua;
  • introduzione progressiva di un sistema nazionale di coordinamento della formazione;
  • riforma dei programmi scolastici e introduzione della valutazione delle Istituzioni Scolastiche;
  • progressivo anticipo dell’obbligo scolastico a 4 anni;
  • fusione di Università e altri Istituti di alta cultura;
  • potenziamento del reddito minimo garantito;
  • riforma degli assegni familiari e dei sussidi al trasporto.

Non si tratta, a prima vista, di nulla di trascendentale e che non sia già stato attuato in Italia, con la rilevante eccezione delle riforme in ambito scolastico e universitario, insuscettibili peraltro di aver già fatto rimbalzare l’economia greca.

La prevista riforma del diritto del lavoro, ad esempio, non è ancora stata varata ed è oggetto di accese polemiche.

Viene da pensare, a questo punto, che la ripresa sia in parte fisiologica dopo il pauroso tracollo del 2011, in parte dovuta alla partenza da una base piuttosto bassa (pare incredibile, ad esempio, che si debba ancora completare il catasto, mentre in Italia si parla di riformarlo), in parte connessa a investimenti stranieri derivanti piuttosto dal clima politico e dall’ombrello della Troika.

A proposito dei predetti investimenti, vi è stato chi ha parlato di svendita e neocolonialismo. Particolarmente simbolico è stato l’insediamento nel porto del Pireo del gigante cinese COSCO, sotto accusa per le condizioni di lavoro praticate, per lo scarso scrupolo in materia ambientale e per l’inavvertita ricaduta locale in termini di benefici.

Certo, estinguere il debito – pur restando fondamentale – non ripristina completamente la sovranità economica, se si diventa troppo dipendenti dagli investimenti stranieri.

Per alcuni, naturalmente, l’attentato principe alla sovranità economica è l’euro, ma non voglio parlarne qui: questa lettera diventerebbe troppo lunga.

Magari nella prossima.

Uno stracco saluto.

Stan