Illuminazione sulla via di Kiev

Mia cara Berenice,

il Pontefice ha rilasciato a La Civiltà Cattolica, la rivista della Compagnia di Gesù fondata nel 1850, un’intervista balzata agli onori della cronaca soprattutto nella parte dedicata alla guerra in Ucraina.

Dopo aver ammonito che “non ci sono buoni e cattivi metafisici”, il Papa, citando un Capo di Stato straniero anonimo che aveva previsto la guerra, ha ripreso la sua nota frase sull’abbaiare della NATO alle porte della Russia.

Non è su questo, però, che voglio soffermarmi. Fedele alla sua augusta tradizione diplomatica, la Santa Sede sta portando avanti una mediazione che potrebbe rivelarsi di valore, in una controversia non priva di riflessi religiosi. Al fianco del Cremlino c’è – come sempre nella storia – il Patriarcato di Mosca e i nazionalisti russi tacciano l’Ucraina non solo di neonazismo, ma anche di cattolicesimo. Significativamente, la Russia ha accolto con favore i felpati passi della Santa Sede. Quindi, ben vengano gli equilibrismi, tipici del resto dell’ambiente curiale romano.

Quello che più mi ha colpito, forse addirittura spaventato, è come proprio nel pieno del suo sforzo di bilanciamento il Papa abbia pronunciato una frase illuminante ai miei occhi, ma nel senso opposto a quello auspicato da Sua Santità. “Non capiscono,” ha detto il Pontefice, sempre citando l’innominato Capo di Stato straniero, “che i russi sono imperiali”.

È vero, verissimo. Il Presidente russo Putin stesso, in questi giorni, ha rievocato lo Zar Pietro il Grande. Altri commentatori avevano già espresso lo stesso concetto, in modo più articolato del Papa, ma con minore forza di sintesi, la sferzata del lampo che squarcia l’oscurità.

Come può un impero vivere all’interno di un ordine internazionale che, pur nell’effervescente ed effimero frizzare della globalizzazione, resta solidamente imperniato sugli Stati nazionali? Non può o ci riesce a fatica, adottando una pelle ibrida sempre suscettibile di muta, di essere gettata secca e accartocciata a terra.

Un documentaristico saluto.

Stan

Prigioniero di Maria Sofia di Baviera

Mia cara Berenice,

oggi tempo ancora splendido, ho consumato il pranzo pasquale in giardino con focaccia arricchita, agnello con patate, carciofi ripieni e pastiera. Quest’ultimo dessert ci porta a Napoli; ci ritorneremo presto.

L’idea era di passare tutta la giornata in giardino a leggere, invece nel tardo pomeriggio sono rientrato, afflitto da un subitaneo attacco di blocco del lettore.

Il fatto è che ho appena finito un meraviglioso libro di Jaeger sull’assedio di Gaeta e ora fatico a prenderne in mano un altro, seppur vincitore del Premio Strega.

Jaeger scrive alla vecchia maniera e il libro è un arazzo di aristocratici dai nomi francesi e tedeschi, carteggi diplomatici, epistole e proclami forbiti: insomma, quello che invano vorrebbe essere la mia corrispondenza con te.

A darmi il colpo di grazia, a configgere l’ultimo chiodo sulla mia bara, c’è perfino l’elemento sexy, rappresentato da Maria Sofia di Baviera, l’ultima Regina di Napoli. Nemmeno ventenne, fino all’ultimo subì l’assedio della piazzaforte insieme al marito Francesco II di Borbone, distinguendosi per la sua bellezza e il suo coraggio; l’agiografia degli autori filoborbonici fece il resto, trasfigurandola in un’eroina legittimista, novella Giovanna d’Arco.

Lo Jaeger riporta perfino una poesia in napoletano dedicata alla sovrana da uno dei difensori che, meglio di qualunque altro documento, riassume quanto ho appena espresso.

E ‘a Riggina! Signò!… Quant’era bella!

E che core teneva! E che maniere!

Mo na bona parola ‘a sentinella,

mo na strignuta ‘e mana a l’artigliere…

Stava sempre cu nui!… Muntava nsella

currenno e ncuraggianno, juorne e sere,

mo ccà, mo llà… V’ ‘o ggiuro nnanz’ ‘e sante!

Nn’èramo nnammurate tuttequante!

Cu chillo cappellino ‘a cacciatora,

vui qua’ Riggina! Chella era na Fata!

E t’ era buonaùrio e t’ era sora,

quanno cchiù scassiava ‘a cannunata!…

Era capace ‘e se fermà pe n’ora,

e dispenzava buglie ‘e ciucculata…

Ire ferito? E t’ asciuttava ‘a faccia…

Cadiva muorto? Te teneva ‘mbraccia…

Non allego alcuna traduzione che sminuirebbe i versi. Non conta comprenderne perfettamente il senso, del resto, quel che importa è la musica.

Insomma, sono prigioniero di Maria Sofia di Baviera: sta a te liberarmi.

Accorri, o Berenice, in mio aiuto.

Stan