Roma attraverso lo specchio

Mia cara Berenice,

non occorre provenire dal Nord Italia per dirlo: Roma è un mondo alla rovescia.

Durante le ferie natalizie, era il caos e l’affanno. Mentre in Parlamento si prorogavano disperatamente le sedute per approvare in tempo la Legge di Bilancio, negli uffici ci si scapicollava per chiudere i budget e gli altri adempimenti in scadenza il 31 dicembre. Sulle mura dei palazzi premeva una marea umana, bramosa non di infilzare teste di aristocratici sulle picche, ma di prendere parte alle compere natalizie, attirata come uno sciame di falene dalle lucenti vetrine del centro, cinto a sua volta da un muraglione d’acciaio di auto e autobus che andava a rinforzare gli argini del Tevere, come gli offendicula aguzzi in cima al muro di una villa.

Ora, spente le luminarie, smontato l’albero di Natale a Piazza Venezia, ai piedi dell’Altare della Patria, tutto è quieto, sonnolento, sonnacchioso. Le temperature miti di quest’inverno tiepido accentuano la sensazione di torpore, nelle case e negli uffici i termosifoni in tutte le loro forme ronzano a minimo regime, nella terrazza del bistrot all’ultimo piano si sorseggia tranquillamente il caffè, quasi mal sopportando l’occhio rovente delle lampade per il riscaldamento. La mattina e la sera, gli autobus sono semivuoti, ci si siede e si legge o si sonnecchia, cullati dal buio dei finestrini.

Solo all’altezza della Gianicolense, le carcasse incenerite di qualche cassonetto testimoniano la guerra furiosa e futile delle feste. Sarà stato qualche petardo o fuoco d’artificio ad appiccare il fuoco alla carta o ai sacchetti di plastica? Oppure il leggendario piromane della Circonvallazione, ringalluzzito dall’assenza della polizia – in ferie o in centro a vigilare sulle compere – ha rimesso fuori il capo dal suo covo ignoto? Forse lo straniamento del Natale l’ha fatto precipitare in una ricaduta, l’ha riportato a fissare con occhi sgranati le fiamme?

Nulla sembra più scuotere la calma olimpica dei Capi degli Uffici, non vale ricorso al Tribunale Amministrativo o nota burocraticamente minacciosa pervenuta da Bruxelles, i ripetuti allarmi della stampa sui ritardi accumulati dal PNRR sono un suono lontano di campanelle, attutito dalla neve. I movimenti sono lenti, pesanti, densi e riflessivi, la ponderazione delle pratiche profonda, senza far precipitare nell’argento liquido dell’ansia e del gioco di specchi di norme e politiche.

Ad majora!

Stan

Inviti

Mia cara Berenice,

non fartene un tale cruccio, se la Principessa di Anhalt-Dessau ha declinato un tuo invito. Tra l’altro, l’impedimento di stare operando come medico militare in Ucraina mi sembra piuttosto inattaccabile e comprovato da innumerevoli foto sul suo profilo Instagram; va bene, magari le pose sono un poco ostentate, la mimetica attillata e le unghie lunghe, ma questo farà pure piacere ai feriti, no?

Del resto, invitare voi ragazze è sempre un affare terribilmente complicato. Proprio stamattina – cessato lo sciopero dei mezzi che mi ha costretto a prendere il taxi ieri – ne discutevano animatamente due adolescenti in tram.

“Probabile che la Ele porti Bea”.

“O che Bea porti Ele”.

“No”.

“No?”

“No”.

“Il problema è che Edo vuole fargli pagare i tredici euro”.

“Se devono pagare i tredici euro, non verranno mai”.

“Eh, però sarebbe giusto”.

“No che non sarebbe giusto, zio! Perché devono pagare il regalo di compleanno a uno che neanche conoscono? Se sono imbucate, sono imbucate”.

“Giusto, però almeno i tre euro”.

“Ok, i tre euro sì”.

Cifre, decimali, complicate operazioni e interi algoritmi si affastellavano nel fumo della mia mente assonnata.

Chissà come è andata a finire. Auguro loro la miglior fortuna. Spero non abbiano scoperto che Ele sta con un commercialista trentacinquenne con studio sulla Collatina, mentre Bea prenderebbe in considerazione solo un vegano crudista con profilo astrale compatibile.

Un saluto.

Stan