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Mia cara Berenice,

ieri sera avevo un fastidioso mal di gola, probabilmente dovuto a questa bizzarra primavera marzolina. Facendomene scrupolo, stamattina sono andato a farmi un tampone alla farmacia vicino casa.

A lato dell’esercizio un vialetto, piuttosto ampio per i parametri romani, conduce al cortile sul retro di un palazzo. Là è stato eretto un piccolo prefabbricato con una bucolica finestrella per l’operatrice, mentre lungo i muri sono disposte delle sedie. Rispetto alla mia ultima visita, accanto al casottino era sorta una tenda per le vaccinazioni, ma le novità non finivano qui. Alle spalle della dottoressa si intravedeva una macchina per le analisi dalle linee candide e moderne, ed era possibile scegliere tra tampone ordinario e con lettura della carica virale. Infine, l’esito negativo, anziché essere strillato dalla finestrella, mi è stato recapitato direttamente sul cellulare, sulla stessa app governativa che utilizzo per esibire il certificato vaccinale.

Era come in uno di quei videogiochi di strategia in cui costruisci la caserma dei soldati, per poi aggiungere l’infermeria e, in seguito, i radar sul tetto.

Quale differenza con il 2020! Allora, in Italia non si trovavano nemmeno le mascherine, una sartoria di quartiere si mise a confezionarle e distribuirle. In Belgio, in presenza di sintomi leggeri, non mi fu concesso di sottopormi a tampone. Solo in seguito, l’Esercito montò, nel cuore del Parco del Cinquantenario, un tendone dove era possibile farsi frugare le narici, ma solo esibendo una prescrizione medica o un biglietto aereo di prossima scadenza; in questo secondo caso, bisognava aggiungere un gruzzoletto consistente.

Quanto ai vaccini, stavano terminando l’iter delle sperimentazioni e delle autorizzazioni, concluso il quale venivano perennemente annunciati senza arrivare mai.

Insomma, non saremo gli essere più saggi e pacifici dell’Universo, ma di certo siamo adattabili.

Un proteiforme saluto.

Stan