Mia cara Berenice,
l’articolo 33, comma V della Costituzione italiana recita: “È prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale”.
Ho un grande rispetto per la nostra Carta, ci hanno lavorato gomito a gomito alcune delle più illuminate personalità italiane e, indubbiamente, è scritta in bellissimo stile, ma ci sono disposizioni che abrogherei domani stesso.
Prendi, per esempio, l’articolo 22: “Nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome”. Quid ergo? Il condannato per un reato comune potrebbe invece essere condannato alla morte civile? Privato addirittura del nome?
Sto però divagando, torniamo all’articolo 33, comma V. Innanzitutto, entra in minutaglie dalle quali una Costituzione dovrebbe restare fuori. In secondo luogo, se interpretato letteralmente, ha effetti grotteschi, come l’esame di licenza elementare, da sostenere a dieci anni e abolito solo nel 2004, mentre esistono ancora l’esame di terza media e, soprattutto, l’esame di Stato o di maturità, previsto al termine delle scuole superiori.
È quest’ultimo un vero flagello che, a causa della posizione preminente che occupa nell’immaginario collettivo e dell’attenzione morbosa dedicatagli dalla stampa, anno dopo anno, coagula negli studenti – ribattezzati per l’occasione “maturandi” – una pressione psicologica del tutto sproporzionata.
Sproporzionata per almeno due motivi.
In primo luogo, nella generalità dei casi la Commissione valuterà il rendimento dello studente nel suo percorso scolastico, piuttosto che il balbettante esame orale del capoclasse con la media del nove e mezzo e proprio per questo strangolato dalla tensione.
In secondo luogo, non parliamo – per fortuna – dei terrificanti esami vigenti nei sistemi scolastici asiatici che, smistando lo studente in un’università di maggiore o minor prestigio, ne condizionano l’intera vita. Non ricordo in quale occasione, ho visto un documentario su quelli in Corea del Sud, dove, nei giorni fissati per le prove, viene chiuso lo spazio aereo perché il rumore dei velivoli non disturbi i candidati e lo studente che rischi di non arrivare in tempo ha diritto di essere scortato dalla polizia a sirene spiegate.
Nulla di tutto questo, eppure una dissennata produzione letteraria e cinematografica ha costruito il mito dell’esame di maturità (nomen omen) come rito di transizione verso l’età adulta, rovesciando sui poveri studenti calderoni di miele che attirano, famelici come api, giornalisti e cineoperatori.
“Com’è andata la prova?”
“Sei nervoso?”
“Sei soddisfatto?”
Quest’anno, ovviamente, sarà peggio.
“Una maturità molto diversa dal solito”.
“Cosa si prova a tornare a scuola dopo mesi?”
Poveretti.
Un empatico saluto.
Stan