Fuoco e petrolio

Mia cara Berenice,

saranno i roghi accesi della Russia al confine con la Finlandia, sarà il gran clamore per l’uscita del prequel de “Il Trono di Spade”, ma quando ieri sera, a uno spettacolo sulla Tiberina in onore del Maestro Morricone, ho visto la ballerina brandire due torce infuocate sotto il naso di pianista e violinista, mi si è conficcato in capo un tarlo dalla cui crisalide è uscito il racconto che ti allego.

Stan

P.S.: Sì, lo so che la crisalide, a rigore, apparterrebbe al bruco e non al tarlo.

FUOCO E PETROLIO

Dopo la presentazione improvvisata del diplomatico, che sudava copiosamente e continuava a lucidarsi la pelata, le tre interpreti si allinearono sul palco.

In abito lungo, trucco e acconciatura impeccabile la pianista e la violinista. L’impresario dovette ammettere che erano state brave ad apparecchiarsi in quel modo, senza maestranze ad aiutarle.

Terza e ultima, arrivò la ballerina, in abbigliamento sportivo e treccine. Almeno si è depilata le ascelle, si consolò l’impresario.

“Be’, fanno… un bel contrasto,” azzardò il Direttore Generale.

“È voluto,” rispose con faccia tosta l’impresario.

Contrasto, rimuginò. Chi pretendevano che potesse mettere insieme, a Ferragosto, con meno di ventiquattro ore di preavviso? La guerra in Ucraina… l’accordo con il Paese nordafricano da chiudere in fretta e furia… l’Ambasciatore e il Ministro da intrattenere per una serata di gala, nel cortile d’onore di una caserma dismessa del Demanio.

Le due fighe di legno, rampolle della nobiltà nera romana, le aveva raccattate in una casa dell’Opus Dei in centro storico. Erano loro il violino e il pianoforte, entrambi pezzi di pregio; lui aveva dovuto solo procurare un camion di fruttaroli bengalesi per il trasporto. La punk aveva risposto al telefono dalle viscere di un’ex filanda a Montespaccato.

Nei camerini ricavati dal corpo di guardia, le aveva trovate litigare ferocemente. Non ne sapeva il motivo, ma non era difficile ipotizzarne tre o quattro di perfettamente plausibili.

Le due numerarie attaccarono, mentre la ballerina attizzava altrettante torce. Una volta accese di una bella fiamma gagliarda, gettò la prima tra le corde del pianoforte e infilò la seconda nella cassa del violino. Mentre le due musiciste cercavano disperatamente di salvare i loro strumenti, si allontanò a lunghe falcate regali ed elastiche, saltando giù dal palco e scomparendo nei camerini.

Non si fa l’impresario per quarant’anni senza diventare rotto a simili inconvenienti e il nostro si alzò in piedi, battendo freneticamente le mani. L’Ambasciatore e il Direttore Generale esitarono. Il Ministro, ipnotizzato dalle lingue di fuoco che si alzavano dal pianoforte, ripensava con orgasmo alla guerra civile e al golpe a cui doveva il posto. Scattò in piedi sbattendo i tacchi e si unì all’applauso.

Ma dove la trovano tutta quest’energia?

Mia cara Berenice,

sono certo che al segretario del Partito Comunista d’Austria non gioverà l’aver lanciato una crociata contro “le giovani aristocratiche molli e viziate che sventolano i fazzoletti all’Hofburg, mentre le loro coetanee servono ai tavoli o sgobbano sulle catene di montaggio”.

La sua accusa è peraltro totalmente, stalinisticamente infondata. Ogni volta che vedo te e le tue amiche, a Vienna, mi chiedo dove troviate tutta quest’energia tra balli, quadriglie, corse dei cavalli, eventi di beneficenza, vernissage, recital, Azioni Parallele, confezionamento di pacchi per i soldati a Tientsin, petizione alla Regia e Imperiale Maestà, partite a polo e a canasta, visite di studio in Italia e in Grecia, celebrazioni interconfessionali, seminari, défilé, esposizioni coloniali, mostre della Secessione, schizzi di foglie d’acanto, manifestazioni per il suffragio femminile e contro il suffragio femminile.

Pensavo giusto a voi ieri, quando è venuta a trovarmi in ufficio P., una cara collega dell’Ufficio del Primo Ministro attualmente distaccata all’Ufficio Legislativo del Tesoro. P. mi spiegava animatamente – sottolineo questo avverbio: animatamente – quanto sia faticoso conciliare due figli, un marito militare e il lavoro all’Ufficio Legislativo, le sveglie alle cinque del mattino, il coricarsi a mezzanotte, il cucinare la domenica per l’intera settimana: come quando, nei paesini delle Alpi, facevano in un giorno il pane per l’intero anno.

Mentre me lo spiegava, faceva a velocità vorticosa il giro degli uffici, salutava Tizio Caio Mevio e Filano, a Caia dava la ricetta della pasta al forno che prepara per i figli, a Mevia faceva leggere direttamente dal display del cellulare una bozza di documento, rispondeva al telefono, mi portava a pranzo, trovava la coda troppo lunga, mi trascinava a un altro locale e poi a un altro, mi offriva il caffè, passava all’Ufficio del Personale per ritirare degli attestati, e molto altro che certamente ho dimenticato, con lo stesso ritmo accanito con cui l’ago della macchina da cucire trapassa il tessuto.

Molto altro che certamente ho dimenticato, dicevo: perché io, a stomaco vuoto e in attesa di pranzare, riuscivo a malapena a spiaccicare parola – lei, naturalmente, non ha mangiato affatto. Così, come i pensionati seduti alla panchina del parco che rimirarono i giuochi vorticosi dei bambini, pensavo: “Ma dove la trovano tutta quest’energia?”

Un agnostico saluto.

Stan