La rivoluzione digitale

Mia cara Berenice,

stamani, in tarda mattinata, ho preso parte a una sessione online che prevedeva, inter alia, la mia identificazione personale.

Un funzionario mi ha chiesto di esibire alla webcam il passaporto aperto. Poiché la piattaforma utilizzata per la videoconferenza mostra le immagini dei partecipanti in riquadri relativamente piccoli, la lettura del mio cognome risultava difficile. Il funzionario se ne è lamentato profusamente, prima di esibirsi nell’equivalente nordeuropeo di un “Per stavolta, passi!”

Ecco cos’è rimasto, dopo due anni di pandemia, dell’annunciata rivoluzione digitale. Abomini come la Zoom fatigue e il mobility manager. La Babele feudale delle mille piattaforme, più spaventosa del capro dai mille cuccioli di Lovecraft. Cloud che non si sincronizzano e sdoppiano i file fino a ubriacarti, come un volgare giocatore di bussolotti a bordo strada.

La rivoluzione non è un ballo di gala. Sarà per quello che finisce quasi sempre male. Quasi sempre. Facci caso.

Un maligno saluto.

Stan