Gli esercizi commerciali diversi da bar e ristoranti

Mia cara Berenice,

il Belgio ha messo a segno una vittoria importante nella lotta al virus: il primo dicembre, in tempo per le compere natalizie, riapriranno gli esercizi commerciali diversi da bar e ristoranti.

Io personalmente non ci metterò piede: il centro di Bruxelles, complici le luminarie, mi pare già fin troppo affollato. Tuttavia, il significato della cosa permane immutato.

Quanto sono importanti gli esercizi commerciali diversi da bar e ristoranti, mia cara: nella letteratura, nel cinema.

Il minimarket sperduto lungo l’Interstatale o suburbano, gestito il primo da WASP abbruttiti, il secondo da immigrati.

Il negozio di anticaglie o articoli di magia.

La boutique.

Il grande magazzino.

L’emporio del paesino, con il vice-sceriffo che sfila davanti alla vetrina e saluta il cassiere sfiorando la tesa del cappello.

La banca con gli sportelli, il caveau sotterraneo e gli spietati addetti alla negoziazione dei mutui.

Il fioraio da cui farsi confezionare un mazzo di rose rosse.

La libreria dove incontrare la ragazza con il basco dall’aria trasognata.

Il ferramenta o il negozio di giardinaggio dove l’assassino ha acquistato seghe, acido, teli di plastica, corde di nylon.

Il negozio di informatica, gestito da un adolescente sudaticcio sempre pronto a violare i più protetti server governativi per un paio di begli occhi.

Il negozio di musica, covo di puristi e alternativi, abbarbicati al CD, al vinile o al prodotto di nicchia in genere.

Il negozio di fumetti, crocevia di nerd, nippofili e affini.

La lavanderia self-service, teatro di incontri romantici e sensuali intermezzi.

Lo studio legale, in cui divorziare, proclamare una crociata come gli antichi Papi o svelare oscure cospirazioni.

Lo studio notarile, in cui scoprirsi eredi di fortune milionarie o genitori.

L’edicola dal titolare saggio e bonario.

Tutto irrinunciabile, non tutto destinato a sopravvivere.

Andai in un’agenzia di viaggi l’ultima volta più di dieci anni fa, quando un biglietto per il Venezuela era introvabile. Lo trovarono. Non fu gratis.

Un depauperato saluto.

Stan

Halloween

Mia cara Berenice,

magari la pandemia è ancora qui, ma almeno Halloween è passato.

Il Governatore della Campania ha peraltro rispolverato l’eterna inventiva secondo cui la festa sarebbe un’americana, fastidiosa quasi quanto la ricorrenza stessa.

Il Governatore peraltro non è il primo a rivestire di paludamenti istituzionali questa polemica che, spesso, parte da qualche parroco o catechista.

Altri avversari delle importazioni da oltreoceano seguono un atteggiamento diverso e anzi opposto, rivendicando le origini europee della festa.

Nelle Venezie, ad esempio, non è infrequente sentir ricordare come, già ai tempi dei nonni, si usasse la notte d’Ognissanti esporre zucche intagliate o quantomeno svuotate e illuminate dall’interno. Potrebbe essere vero oppure no. Potrebbe esserci un’effettiva correlazione con Halloween oppure no.

D’altronde, le prospettive su Halloween sono molteplici anche nella presunta patria americana. Le troviamo impeccabilmente riassunte nel film “Mean Girls” (USA-Canada, 2004): “Nel mondo reale, Halloween è quando i bambini si vestono in costume e chiedono le caramelle. Nel mondo delle ragazze, Halloween è l’unico giorno dell’anno in cui una ragazza può vestirsi come una puttana fatta e finita senza che nessun’altra ragazza possa dire niente”.

Mi chiedo come si sia fatto questo passo ulteriore dal macabro al sexy, del resto non così insolito: basti pensare alle quattro vampire (contando anche Lucy Westenra) di “Dracula” di Bram Stocker.

Un appuntito saluto.

Stan

Il fascino discreto della Seconda Guerra Mondiale

Mia cara Berenice,

su una cosa devo dare ragione a tua madre, sono un tipo prevedibile.

Eccomi, di nuovo, sulla lounge di Termini, di nuovo con un libro – almeno in senso lato – sulla Seconda Guerra Mondiale: stavolta, la biografia di Hitler di Antonio Spinosa, continuazione ideale di “M” di Scurati, quest’ultimo ancora orfano di un sequel che ci conduca all’happy ending del ’45.

È curioso quale fascino continui a esercitare l’ultimo grande conflitto.

Sarà che è stata, appunto, l’ultima guerra convenzionale di quelle dimensioni.

Sarà la facilità nel distinguere i buoni dai cattivi, almeno sul fronte occidentale.

Certo i nazisti, con il loro Wagner, le loro scemenze esoteriche, la loro Thule, le loro uniformi nere con la testa di morto e il piede caprino di Himmler, fecero davvero di tutto per diventare degli antagonisti da operetta, degni dei peggiori film di James Bond.

Competizioni sportive a parte, ci sono solo due modi per tenere sveglio mio padre davanti alla TV, a qualunque ora: un western o un film sulla Seconda Guerra Mondiale.

Spero di non aver toccato un tasto troppo dolente per voi austriaci, afflitti a tal riguardo da una crisi di identità – Germania o Austria? Vincitori o vinti? – ben degna delle riflessioni viennesi di Freud.

Tale crisi, oltretutto, estende inevitabilmente le sue propaggini fino ai sudtirolesi, austriaci con il cuore, italiani con il portafogli.

Dopo questa sfilza di carinerie, è con particolare piacere che ti saluto.

Stan