Mia cara Berenice,
la coalizione di destra che ha vinto le ultime elezioni è composta di tre partiti principali, uno dei quali ha uno storico filone nordista e autonomista. Pertanto, è stata proposta una riforma, appunto, in senso autonomista.
Non è la prima. La stessa esistenza delle Regioni, create dalla Costituzione del 1948, era una novità, talmente difficile da digerire che le Regioni a Statuto Ordinario, la grande maggioranza, furono istituite sono negli anni ’70.
Alla fine degli anni ’90 c’è stata la riforma Bassanini, forse più significativa di quella costituzionale del 2001, con cui si è intervenuti sul Titolo V della Carta. In modo cosmetico, secondo me. In modo talmente dirompente da ingolfare la Corte Costituzionale di conflitti tra Stato e Regioni, secondo altri.
In tutto ciò, l’Italia non è uno Stato federale come l’Austria, la Germania o la Gran Bretagna. Non è nemmeno, a mio avviso, uno Stato con significative autonomie locali. La potestà legislativa delle Regioni è risicata, la potestà giurisdizionale inesistente. Per il resto, le Regioni hanno una funzione più gestionale, soprattutto in ambito sanitario, che amministrativa. Soprattutto, l’ordinamento della loro macchina amministrativa e del loro personale è appannaggio della legislazione statale, rendendo le Regioni dei Ministeri territoriali.
Bisognerebbe fare di più? Alcuni sostengono che l’Italia sia afflitta da divari troppo profondi, in primis quello tra Nord e Sud, per potersi permettere un vero decentramento. Si potrebbe replicare che un secolo e mezzo di politica centralista non hanno sortito particolari effetti, ma non è su questo battutissimo sentiero che voglio incamminarmi.
Mi interessa, piuttosto, l’intervento nel dibattito in corso del Sindaco di Napoli, che ha lamentato come l’eterna dicotomia Stato-Regioni faccia dimenticare il ruolo di Comuni e Città, vera interfaccia tra cittadino e Pubblica Amministrazione.
In effetti, il principio di sussidiarietà che è il fondamento teorico dell’autonomismo prevede che il potere si eserciti al livello più vicino possibile al cittadino: a livello comunale, dunque, non regionale. Infatti, il primo comma dell’articolo 118 della Costituzione recita: “Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza”.
Io aggiungo che un Paese ancora in fieri come l’Italia non può farsi che dal basso. Del resto, è di comune esperienza come i cittadini esercitino un controllo civico molto più efficace e appassionato sulle vicende locali che su quelle nazionali, oggetto di considerazioni vaghe, approssimative e di maniera.
Naturalmente, da funzionario so anche come i Comuni, anche a causa delle ridotte dimensioni, siano spesso inadeguati ad applicare un diritto amministrativo sempre più complesso e sofisticato, soprattutto in tema di appalti pubblici. Fonderli, oltre a essere estremamente complicato, rischia di essere controproducente, Unioni e Consorzi di Comuni non sembrano bastare. Ecco allora quale potrebbe essere la funzione principale delle Regioni e delle Province, queste ultime rimaste sospese nel limbo, dopo il fallimento della riforma costituzionale che voleva abolirle: fornire assistenza, supporto e coordinamento ai Comuni.
Un pesantissimo saluto.
Stan