Mia cara Berenice,
notizie esaltanti provengono dalla Cina o, come si sarebbe detto in tempi più civili, dal Catai.
No, l’Accademia di Scienze Mediche Militari non ha scoperto il vaccino: meglio.
No, non è stato ritirato il disegno di legge per la sicurezza di Hong Kong: molto meglio.
No, non è stata nemmeno introdotta improvvisamente la democrazia: ancora meglio.
La Cina, al netto di improvvisi revirement del Politburo, avrà il suo Codice Civile. Il Congresso Nazionale del Popolo ci lavora ormai da anni. Naturalmente, non si tratta di un fulmine a ciel sereno. Già sul finire degli anni ’20, il Kuomintang aveva emanato il primo Codice Civile cinese. Il regime comunista, dal canto suo, ha già promulgato leggi sul matrimonio, le successioni, l’adozione, le garanzie, i contratti, i diritti e i fatti illeciti, destinate a essere inglobate nel nuovo Codice. Analoga sorte dovrebbero avere le disposizioni generali di diritto civile, emanate con ordinanza nel marzo 2017 ed entrate in vigore il 1° ottobre dello stesso anno. Articolate in undici capitoli, le disposizioni trattano di persone fisiche e giuridiche, negozi giuridici, contratto di agenzia, responsabilità civile, prescrizione e computo dei termini.
Per una volta, è la Cina a importare uno dei nostri articoli più illustri. Napoleone avrebbe detto: “Ma vraie gloire n’est pas d’avoir gagné quarante batailles. Waterloo effacera le souvenir de tant de victoires; ce que rien n’effacera, ce qui vivra éternellement, c’est mon Code civil”. Come dargli torto, come non preferirlo assiso alla presidenza del Consiglio di Stato, ad arringare gli alti dignitari di Francia, piuttosto che in sella al destriero, circondato dalla Vecchia Guardia, lambito dalle cannonate.
Da Imperatore, firmò proclami e trattati, ma da Primo Console appose la sua sottoscrizione sotto l’articolo 7 della Legge del 30 ventoso Anno XII: “À compter du jour où ces lois sont exécutoires, les lois romaines, les ordonnances, les coutumes générales ou locales, les statuts, les règlements, cessent d’avoir force de loi générale ou particulière dans les matières qui sont l’objet desdites lois composant le présent code”.
Fu probabilmente contento che, della codificazione, anglosassoni e preti non ne volessero sapere. La Santa Sede cedette nel 1917, quando il Codice Pio-Benedettino soppiantò, dopo secoli, il Corpus Juris Canonici. Gli anglosassoni resistono ancora, ma non sono riusciti a domare le piazzeforti della Louisiana e del Quebec.
“Nello Stato della Louisiana, noi abbiamo il Codice Napoleonico,” proclama fieramente Stanley in “Un tram chiamato desiderio” di Tennesee Williams.
Quando al Codice Federale in vigore negli Stati Uniti, quella bizzarra mostruosità composta di 54 Titoli, non saprei se ascriverla a un palpito di civilizzazione o, viceversa, all’inguaribile barbarie delle ex colonie.
D’altronde anche in Italia, che ama pomposamente definirsi culla del diritto, siamo all’avanguardia, quanto a parodie di codificazione. Abbiamo il Codice delle Comunicazioni Elettroniche, il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, il Codice della Proprietà Industriale, il Codice dell’Amministrazione Digitale, il Codice della Nautica da Diporto, il Codice delle Assicurazioni Private, il Codice delle Pari Opportunità tra Uomo e Donna, il Codice del Terzo Settore, il Codice della Protezione Civile, il Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, senza contare i più dimessi Testi Unici.
Certo, anche la napoleonica Francia ha affiancato al Codice Napoleonico un vasto parentado. Speriamo che nel Codice del Lavoro applicabile a Mayotte sia rimasta una goccia del sangue del grande antenato.
Un commosso saluto.
Stan